fabio-foto.JPGDi Fabio Cimmino

Fonte: Luciano Pignataro Wineblog

Quando mi fermo ad ascoltare, tra i banchi di assaggio di un degustazione pubblica, i commenti di alcuni intervenuti sento ricorrere, spesso, una sorta di ritornello, quasi imparato a memoria, che riguarda taluni bianchi, talvolta grandi bianchi, che indipendentemente dalle uve impiegate e dalla zona di origine (e poi si permettono, pure, di parlare di “terroir”) , hanno un evidente limite… “..ma come sono acidi…”. C’è chi addirittura lamenta l’eccessiva sapidità e le grandi acidità di uno Champagne. Qualche tempo fa la celebre master of wine Jancin Robinson ha  stigmatizzato questo atteggiamento in un bellissimo pezzo in cui esordiva così: “I wonder why wine drinkers are so wary of acid?”. Faccio mie le sue parole e dico: “Mi chiedo perchè gli appassionati sono così spaventati dall’acidità?”. Vorrei riportare liberamente, senza attenermi rigidamente alla lettera del testo, le riflessioni della celebre giornalista anglosassone che sottoscrivo in pieno.Venti anni fa, quando ancora con il vino mi ci potevo solo “bagnare” le labbra, era normalissimo riscontrare nei grandi vini bianchi francesi, sia che si trattasse di Bordeux che di Borgogna, acidità medie piuttosto elevate anche se non dimentichiamo ciò era strettamente correlato alle più basse gradazioni alcoliche! Sorge spontaneo allora chiedersi come mai all’improvviso, oggi, una spiccata acidità stia diventando quasi insopportabile… solo perchè considerata l’opposto di dolcezza e rotondità, considerati canoni dominanti?! Forse è più probabile che l’avvento di produzioni “in bianco” provenienti da aree climaticamente più calde abbia fatto emergere sul mercato tipologie diverse più votate alla gratificazione immediata del consumatore, sempre più impaziente in ogni momento della propria esistenza. Aspettare la piena maturità di un vino e pazientare qualche anno per goderne in pieno tutte le sfaccettature sono gesti, ormai, che appartengono sempre più alla cultura passata del bere di qualità e sono sempre meno diffusi tra i consumatori moderni.

I vini di oggi finiscono travolti dalla frenesia del mercato che li vuole pronti da subito assolvendo al compito, affatto deplorevole, anzi, di offrire al consumatore un prodotto già “compiuto” senza chiedergli ulteriori attese. Ma c’è sempre un prezzo da pagare. Una minore acidità riduce il potenziale di invecchiamento di un vino. Questo è ampiamente dimostrato dalla stupefacente longevità dei riesling tedeschi che non trova termini di paragone altrove. Inoltre le sottili sfaccettature che un vino acquisisce con gli anni non sono le stesse conferite ad un vino giovane con operazioni di maquillage di cantina destinate ad esaurirsi nell’arco di pochi anni, se non quando, addirittura, di qualche mese. È come voler paragonare una ventenne rifatta dalla testa ai piedi con il fascino impalpabile di una splendida quarantenne. Ma pur volendoci, per un attimo, allontanare dalla prospettiva puramente edonistica del tutto non bisogna sottovalutare altri importanti aspetti della questione. L’acidità ha, infatti, anche altre funzioni oltre quelle prettamente legate a fini di natura organolettica di sostenere, rinfrescare ed equilibrare la beva. È, infatti, un incredibile anti-batterico ed in particolare protegge dal Brett il responsabile numero uno nell’aroma, sgradevole, di alcuni vini. Per i rossi, infine, il discorso si sposta dal bicchiere alla tavola ed alla maggiore versalità, nonchè migliore capacità di abbinamento, di quei vini dal nerbo acido più sostenuto. Provate a pasteggiare con uno di quei vinoni muscolosi, iperconcentrati, marmellatosi che tanto ci colpiscono nelle degustazioni quando però ne buttiamo giù solo un sorso o poco più. Vedete quanto più soddisfacente sarà un vino da ben più miti pretese ma con la giusta acidità di fronte ad un piatto di pasta, la classica fettina di carne, un pezzo di formaggio ed altre preparazioni della cucina quotidiana. O forse che tutti nell’era del benessere pasteggiamo, ormai, solo a ritmo di brasati, cacciaggione ed altri ricercate e costosissime prelibatezze?! La “giusta” acidità stimola una cospicua salivazione, ripulisce il palato e lo prepara, invogliando, al boccone successivo! Non voglio con tutto questo essere frainteso e giustificare vini aciduli, privi di corpo e di sostanza ottenuti con uve di scarsa qualità e non giunte a perfetta maturazione che ancora, aimè, popolano il mercato. Voglio solo enfatizzare come un grande vino non possa prescindere oltre ad elevati livelli di alcol e polifenoli da un parametro troppo spesso dimenticato: la “giusta” acidità.