Di Giulia Cannada Bartoli
Il viaggio comincia all’ alba del 2 aprile, in macchina verso la mia quinta edizione dello showbiz del vino. Vinitaly 2008. Sono in compagnia di produttori dell’Irpinia e durante tutto il viaggio non si fa altro che discutere su mezzi e strategie da adottare per una promozione piu’ organica del comparto viticolo campano, consapevoli che ci si trova di fronte alla concorrenza di un mercato globale e che i “nemici” non sono i confinanti di vigna o di paese, bensì i produttori europei e quelli del nuovo mondo. Parliamo, parliamo, ma non giungiamo a conclusione alcuna. L’analisi della situazione e la congiuntura di mercato sono piuttosto negative e non si intravedono soluzioni: le politiche pubbliche di sostegno sono obsolete e disorganiche e le singole aziende da sole non ce la fanno. Consorzi, Strade del Vino? Manco a parlarne. Bei progetti sulla carta, ma all’atto di concretizzare sforzi e sinergie tutto si blocca. La ragione? Credo sia da ritrovare nell’esasperato individualismo che caratterizza gran parte dell’imprenditoria vitivinicola, soprattutto in alcune regioni del mezzogiorno, e, ahimè,la Campania è una di queste.
I giovani produttori piu’ lungimiranti si arrestano davanti a muri di gomma….
Beh, intanto siamo arrivati e il discorso si chiude con un po’ di amarezza. Arriviamo in “Campania” , il tanto discusso padiglione di design della scorsa edizione, ci attende immutato e candido. Cominciano i convenevoli tra produttori, gli scambi di pinze, chiodini e martello per vivacizzare l’atmosfera. In tardo pomeriggio l’allestimento è più o meno completo, ogni provincia identificata da un colore: lilla per Avellino, rosso per Napoli, verde per Caserta, giallo per Salerno ed azzurro per Benevento. Al centro del padiglione Piazza Campania, lo spazio dedicato agli eventi, convegni e degustazioni in collaborazione con l’Ais regionale e quattro banchi dedicati all’enoteca regionale per un assaggio veloce dei vini di tutte le aziende presenti.
Sembrerebbe fin qui, tutto identico rispetto alla scorsa edizione, ma quest’anno la Campania si porta dietro due fardelli davvero pesanti: gli scandali immondizia e mozzarella. Due bocconi molto difficili da far digerire, i discorsi con agenti, clienti e pubblico sembrano avere sempre questo tema. Molto arduo dirottarli subito sul vino, sulla qualità e sulla bellezza dei territori. Dopo i primi due giorni scatta la guerra tra poveri, beneficiamo senza volerlo dell’effetto “velenitaly”, gli scandali del Brunello e delle adulterazioni. Improvvisamente non siamo piu’ al centro dell’attenzione mediatica! Il padiglione campano è pieno: arrivano i buyers esteri, i clienti e gli appassionati e qualche giornalista. Le aziende, soprattutto nei primi tre giorni, lavorano molto, strette l’una all’altra, spesso a voce bassa…il nemico è in ascolto!
Il programma di degustazioni messo a punto dall’Ais riscuote un’ottimo successo di pubblico: argomenti interessanti e non banali. Tra tutti mi ha colpito “La Falanghina che non t’aspetti…Variazioni sul tema”. La degustazione guidata da Tommaso Luongo – delegato Ais di Napoli – ha voluto sfatare il mito di un prodotto “di massa” senza pretese, presentando diversi volti di gran qualità dalle bollicine al passito, in una carrellata tra le province che ha visto esordire i Feudi di San Gregorio con le Bollicine del Dubl Falanghina Metodo Classico , un esperimento condotto dall’azienda di Sorbo Serpico in collaborazione con il maestro dello Champagne Anselme Selosse. Il risultato è un vino dalla straordinaria freschezza e acidità che resta sui lieviti 18 mesi garantendo al vino un bagaglio aromatico fine e complesso. A seguire un classico: la Falanghina dei Campi Flegrei delle Cantine Farro di Bacoli con la selezione “ Le Cigliate”: un’esplosione di profumi e prepotente sapidità. Il prosieguo si è fatto molto interessante con l’apparizione della falanghina di Cantine degli Astroni, “Strione” 2006, siamo sempre nei Campi Flegrei, ma di fronte ad un esperimento molto particolare: l’enologo di casa Gerardo Vernazzano, in collaborazione con il Prof. Zironi dell’Università di Udine ha portato avanti una vinificazione “in rosso” con macerazione sulle bucce. Questo procedimento ha conferito al vino una notevolissima complessità olfattiva, un mix di fiori e frutta quasi passita e la nostra amata mela annurca. Il vino è stato invecchiato in barriques di 3° e 4° passaggio che non hanno assolutamente coperto né il frutto, né la mineralità. Un vino davvero interessante che si presta ad abbinamenti meno scontati.
In tema di coraggiose sperimentazioni, abbiamo proseguito con la Falanghina del Taburno di Libero Rillo di Fontanavecchia, l’annata? 2001!
Tanto particolare da dare il nome al vino. Un prodotto affascinante, il vino non è stato filtrato e nonostante ciò ha mantenuto negli anni una veste cromatica vivace ed elegante. Lo avevamo presentato con Luciano Pignataro, in anteprima a Napoli lo scorso febbraio in abbinamento alla genovese di terra della Trattoria Sessantanove e a quella di tonno, di Pasquale Torrente del Convento di Cetara. Due piatti strutturati e difficili da abbinare. La performance di 2001 è stata perfetta. Il naso è molto accattivante, intenso e complesso, frutta in surmaturazione, cera d’api, burro di arachidi, potremmo pensare a difetti di ossidazione, ma questa è un’ossidazione nobile!
Abbiamo chiuso in dolcezza con un “must” del panorama campano: l’Eleusi, il passito da Falanghina di Villa Matilde, il colore ambra con riflessi dorati, brillante e seducente. Al naso un’esplosione di frutta matura, albicocca, fichi secchi, e poi note mielate ma per nulla stucchevoli. Il vino offre un’ottima spalla acida, grassezza e sapidità che invitano a finire il bicchiere. Interminabile il finale di bocca.
Al di fuori del programma istituzionale della Campania, ho seguito un laboratorio dell’Ais nazionale dedicato all’aglianico,magistralmente condotto da Franco De Luca insieme a Tommaso Luongo ed a Roberto Gardini. Il parterre era di quelli d’eccezione: overbooking in sala New Beetle a Verona, oltre 80 partecipanti per 7 campioni di aglianico: Si comincia, dopo un excursus dedicato al vitigno e alle sue differenti espressioni a seconda dei terroir, con un altro esperimento: l’aglianico vinificato in bianco della casa vinicola irpina Joaquin di Raffaele Pagano.


1) I viaggi. Aglianico bianco Campania Igt 2006
Il colore è di difficile definizione,un bianco quasi cartaceo con venature rosa, al naso non si sente ill fruttato, ma il floreale con note minerali e speziate dovute alla permanenza in legno di 3° e 4° passaggio. In bocca torna Sua Maestà l’Aglianico, dalla potente acidità e struttura. Un tentativo di poche bottiglie ma interessante e ben riuscito.

2) Mastroberardino , Taurasi Riserva Radici 1999
Silenzio parla il Taurasi. Siamo di fronte alla storia, al mito di un’azienda presente in Irpinia dalla metà del ‘700 ed alla quale dobbiamo la fama del mondo di Aglianico, Greco e Fiano e della viticoltura campana in generale.
In degustazione alla cieca si sarebbe detta un’annata non recente ma non saremmo andati indietro al 99!Il colore è lucente e compatto, la consistenza è ottima. Al naso frutta a bacca rossa matura, una nota di goudron e tante spezie. L’ingresso in bocca è morbido, elegantissimo e di eccezionale freschezza, fantastica persistenza aromatica ed equilibrio. Siamo di fronte ad una splendida interpretazione dell’annata ’99, la tessitura del tannino è finissima, si allarga e rimane percettibile in tutta la parabola gustativa. Un campione di longevità ed eleganza da abbinare a piatti succulenti e grassi.

A questo campione va il mio personale Oscar.

3) Antonio Caggiano Taurasi Vigna Macchia dei Goti 2004
Ecco un’altra pietra miliare della storia del Taurasi, un mito piu’ giovane, ma non per questo meno intenso.La mano enologica è quella di Luigi Moio il progettista dell’aglianico, e proprio in questo 2004, ancora giovanissimo, si riflette in pieno l’importanza dell’andamento dell’annata per il vino. Il colore è ancora rubino intenso, con evidenti riflessi granato, vivace e luminoso , questo ci fa presagire una buona freschezza e spalla acida. Lo portiamo al naso: tanta frutta a bacca rossa, ribes e poi spezie, pepe nero e grafite. Il tannino è nettamente percettibile rendendo il vino ancora un po’ scomposto al palato, mala freschezza ci fa ben pensare, dobbiamo solo attendere che si compia il necessario equilibrio.

4) Fattoria la Rivolta – Terra di Rivolta Aglianico del taburno Riserva 2004
la vite viaggia. Ci spostiamo: il Taburno , un altro terroir, terreni calcarei
clima appena più mite. Tutto questo si riflette nel vino, meno aggressivo e piu’ morbido dell’aglianico di Taurasi.Il colore è un bel rosso rubino intenso con riflessi granato e la consistenza al bicchiere è molto buona.Al naso si percepisce subito una viola molto profumata e poi frutta in confettura , prugna, liquirizia ed accattivanti note balsamiche. Il tannino è percettibile ma assolutamente non invadente. Un vino molto abbinabile magari in territorio: agnello Laticauda e caciocavallo sannita.

5) Villa Matilde Vigna Camarato Falerno del Massico rosso doc 2003
Ancora un pezzo di storia, ancora una performance di terroir. Stavolta siamo nella zona del vulcano spento del Roccamonfina, una conca che si affaccia sul golfo di Gaeta, protetta dagli Aurunci. Il Falerno una storia lunga 3000 anni. Il Vigna Camarato proviene da un unico vigneto nella zona di San Castrese che possiede caratteristiche assolutamente diverse dai terreni delle vigne confinanti , con un elevata concentrazione di fosforo e potassio e dove l’età delle viti raggiunge i 50 anni.Il colore è rosso rubino intenso molto profondo, consistente, abbastanza intenso e complesso, sia avverte subito una ciliegia marasca matura, piccoli frutti di bosco e poi in successione pepe nero, cioccolato, liquirizia e una nota vanigliata.In bocca è morbido ed elegante con un’ottima freschezza che promette longevità e salute.

6) Terre degli Svevi, Re Manfredi 2004 Aglianico del Vulture Doc
Lasciamo la Campania e ci dirigiamo verso un areale ancora vulcanico che offre un aglianico per certi versi piu’ dolce e gentile.Qui siamo anche a 700 mt slm,, si vendemmia tardi , il sole di novembre è molto importante, cosi’ come lo sono le escursioni termiche giorno – notte.
Il risultato è un vino dal colore rosso rubino, intenso vivace e profondo.Al naso è intenso e abbastanza complesso con una nota fruttata molto evidente, l’ingresso al palato è morbido e sostenuto da una buona acidità che conferisce al vino buone possibilità di invecchiamento. Una nota : Terra degli Svevi fa parte del gruppo Giv, ma in questo caso siamo davanti ad un ottima performance di territorio!

7) Basilisco, Basilisco 2005 Aglianico del Vulture Doc
chiudiamo la degustazione con l’unica scelta possibile, l’annata 2005 del Basilisco. Un colore assolutamente giovanile, porpora, non ancora pienamente consistente al bicchiere. Al naso sicuramente intenso, un gran frutto, ma con un registro espressivo ancora non svolto ch eva a discapito della complessità. L’ingresso in bocca è abbastanza morbido ma il tannino è prepotente ancora un po’ acerbo e non integrato. La freschezza si avverte e per questo siamo sicuri di trovarci di fronte a grandi possibilità di evoluzione. L’azienda ha fatto al Vinitaly una bella scelta di marketing territoriale: si sono presentati in tre , uno stand comune: Basilisco, Elena Fucci de il Titolo e Macarico di Rino Botte. Tre perle del Vulture da non perdere.

A differenza delle scorse edizioni ho girato e degustato molto in questo Vinitaly, incontrando tante aziende: torno a casa arricchita culturalmente umanamente e sempre piu’ convinta che la forza del vino italiano risiede proprio nella grande varietà di vitigni autoctoni, nelle scelte di qualità e nel grande numero di aziende che devono necessariamente imparare a stare insieme per girare il mondo e mettere le gambe al nostro vino. Sicilia, Sardegna Abruzzo, Molise e Puglia sono già molto avanti, in Campania e Basilicata stentiamo un po’…