Di Mauro Erro

Assurdo: contrario alla logica del pensiero, della parola, dell’azione; contraddittorio; assolutamente sconveniente, incomprensibile; contraddizione assoluta; di quanto è caratterizzato da impensabilità, impossibilità o assoluta mancanza di convenienza. (Vocabolario della lingua italiana, G. Devoto, G. C. Oli)

È da quando terminata la serata che, dovendone scrivere il resoconto, complice la professione e gli studi di mio fratello, vado girando, nei ritagli di tempo, con un teschio tra le mani ponendomi l’amletico dubbio: scrivere o non scrivere? E che scrivere? Volendo utilizzare una metafora e partendo dalla Teoria della comunicazione di Roman Jakobson, provate ad immaginare di dover raccontare un orizzonte e un panorama visti durante un viaggio ad un amico: non lo ha visto, ma potrà provare ad immaginarlo grazie alle vostre parole e grazie alle decine e decine di orizzonti che ha visto durante la sua vita. Provate a raccontarlo ad un cieco: cos’è, ad esempio, il blu? Se la scrittura è un codice che conosciuto dalle parti (mittente e destinatario) le mette in comunicazione, il problema in questo caso è l’oggetto stesso della comunicazione: i vini di Lopez de Heredia. Non vi è spiegazione tecnica che tenga (ho provato, andandolo a trovare, a cavare un ragno dal buco con Bruno de Conciliis che per un problema dell’ultim’ora non è potuto essere presente alla serata – ci siamo ripromessi una replica la prossima stagione –, ma niente da fare) , né racconto che possa solo lontanamente spiegarvi alcunché. I vini di Lopez de Heredia cristallizzano il tempo, i vini di Lopez de Heredia ripercorrono al contrario il senso (se esiste) del gusto, la progressione organolettica a cui siamo abituati: se l’ossidazione è per noi la fine, per nulla nobile, della vita di un vino, in questo caso nobile è l’aggettivazione di un’ossidazione principio di una vita a noi poco familiare, eppure affascinante. Questi vini stravolgono il pensiero, la parola, l’azione, possono risultare incomprensibili se l’ascolto e l’assaggio non sono meditati. Non vi è nessuna logica di convenienza che possa spiegare il motivo per cui un rosato venga commercializzato a dieci anni dalla vendemmia, dopo averne trascorsi quattro in legno (le cui botti i signori Lopez de Heredia si costruiscono da sé) ed altri sei in bottiglia (nei 4 chilometri di gallerie sotterranee della cantina che garantiscono condizioni di temperatura ed umidità ottimali per l’invecchiamento e l’integrità dei vini). Figuriamoci poi spiegare il motivo per cui bianchi e rossi, seguendo la medesima “filosofia” produttiva, vengono proposti al mercato dopo vent’anni.
Dunque, che fare? La nobiltà dei vini di Lopez de Heredia non è quella dell’ossidazione, ma quella della loro diversità, elemento su ci si è fondato questo eno-laboratorio che volge al termine. La diversità che permette noi la scelta. Dunque, ripeto, che fare?
A voi, signori, decidere: rimanere nella beata ignoranza di leopardiana definizione o condividere con me i dubbi e i dilemmi della conoscenza, di un’esperienza (bella o brutta, a voi opinare) che non può essere raccontata, ma che chiede solo di esser vissuta?

Viña Tondonia Gran reserva Rosado Crianza 1995: il colore ricorda la buccia di cipolla, vivo e brillante, nelle cui trasparenze è facile perdersi, e che, volendosi far condizionare dalla sua poesia, pare abbia sfumature cangevoli, dal rame al rosa antico. Al naso s’avvertono note animali immediate, poi burro, dolci rimandi, pelle conciata, legno, carbone bruciato lieve, frutta secca. Al palato è snello e, complice un’acidità possente, risulta esser per persistenza più corto del fratello maggiore.

Viña Tondonia Gran reserva Rosado Crianza 1993: Più cattivo, più intenso del “morbidoso” fratello minore che l’ha preceduto, a cui l’accomuna il colore che in questo vino però varia nel timbro: leggermente più rarefatto. Dopo un’ora abbondante di ossigenazione, finalmente si dispiega negli odori la cui qualità è innanzitutto la dinamicità, il continuo evolvere: ampi e fini si sono proposti profumi di spezie ed erbe aromatiche, di frutta secca, di biscotto (marzapane). Al palato ha maggior corpo e più equilibrio: chiude lunghissimo.

Viña Gravonia Crianza 1995 (viura 100%): giallo oro scarico, al naso è “buccioso” tanto da ricordare i vini macerati sule bucce. Rimandi mentolati, anice stellato, miele, babà al rum, sensazioni floreali, di erbe e tè e di agrumi canditi. Al palato è sapido, sapidità che accompagnandosi all’ottima acidità lo rende equilibrato e di buona lunghezza.

Viña Tondonia Reserva 1987 (viura con piccolo saldo di malvasia): Più carico di chi lo ha preceduto nel colore: oro antico. Più intenso dell’altro e più dinamico al naso, più spesso al palato. Minerale, muschiato, pelle conciata, camomilla, frutta bianca (pesca) disidrata, fiori secchi e spezie, miele di acacia. Al palato, come ho già scritto, ha maggior volume nel centro bocca e la lunghezza è calda e vellutata.

Viña Bosconia Gran Reserva 1981 (tempranillo in prevalenza con il contributo di altre uve: garnacho, mazuelo e graciano): potrebbe risultare spiazzante rispetto ai precedenti per la mancanza di picchi d’astrusità e complicazioni varie. Invece, a mio parere, risulta essere il suo punto di forza. Semplicità di beva e grande eleganza. Frutti, ma soprattutto fiori impreziositi da note animali. Tannino elegantissimo, uno smoking calzato da Sean Connery, ottima spinta verticale dell’acidità risoluta e sapidità di matrice minerale. Ode alla bevibilità (alcool? 12,5%!)

P.S. Evitando inutili copia e incolla, rimando all’articolo del nostro amico Fabio Cimmino su winereport diretto da Franco Ziliani, che all’epoca (2004) mi fece scoprire questi vini e dove troverete le più utili informazioni sulla azienda e sui vini. Per i più curiosi, sempre a firma di Fabio, sulla rivista online L’Acquabuona, troverete il resoconto della serata e le note dei vini.