Di Claudio Tenuta

La passione è stata subito parte della serata che doveva iniziare come di consueto alle 21,00 ma che ha visto quasi tutti venire alla base con mezz’ora di anticipo, tanta era la voglia di condividere insieme emozioni ed esperienze. La serata sarà ricca di colpi di scena e tutti di grandissimo effetto. Si parte con il bianco di Gaia servito a 12° che si presenta nel bicchiere paglierino con marcati riflessi verdolini, primo naso tagliente e compatto con sensazioni olfattive difficili da scomporre per una marcata nota minerale, dopo qualche minuto si fanno riconoscere profumi di biancospino e dragoncello il tutto avvolto da una mineralità cristallina, la bocca è sapida e fresca di agrumi e il buon tenore alcolico riesce a dare una gradevole armonia al tutto, al gusto le sensazioni vegetali, erbacee e minerali prevalgono su quelle fruttate, la beva è piacevole e invitante con finale delicatamente ammandorlato, Mimmo dopo poche zaffate di naso individua l’Inzolia, altri si dirigono verso il Carricante per le note minerali…la Sicilia non ci è sfuggita si tratta di un Chiaramonte Ansonica 2009 di Firriato Sicilia Igt, un vino a pieno titolo tra i low cost da comprare e bere quotidianamente. In tavola entrano i salumi ben apparecchiati in vassoi da Mimmo (culatello, fiocco e salame Milano) e delle mozzarelle portate da Francesco con provenienza Caseificio delle Rose (Frattamaggiore-Afragola, da qualche anno anche a piazza Muzii a Napoli) tutto di ottimo aspetto e dal gusto deciso, con le pietanze si apre la bottiglia di Fosca, un altro bianco paglierino deciso, primo naso su note di lieviti selezionati, mi riferisco un pò a frutta esotica e note dolci di albicocca e pesca gialla, poi sensazoni floreali di gelsomino, Umberto pensa ad un Pallagrello, Rino a un Fiano, qualcuno a una Falanghina surmatura, anche stavolta non abbiamo sbagliato regione: siamo in Campania, la bocca alterna sensazioni calde a sensazioni sapide, la freschezza è meno presente del vino precedente e il corpo è un po’ magro. Dopo la conferma al gusto delle sensazioni olfattive si avverte una PAI abbastanza corta e una alcolicità che riscalda un po’ troppo la gola, stiamo bevendo un Katà di Cantine Olivella 2009 Pompeiano Bianco IGT, un vino che ha fatto grandi passi avanti rispetto alle prime vinificazioni di quattro/cinque anni fà e che ha ancora ampi margini di miglioramento nonostante una già adeguata piacevolezza, personalmente penso che al naso non riesce ad esprimere la sua originalità varietale confondendosi con altre tipologie. E’ il momento del caciocavallo bufalino di media stagionatura portato da Elena, del delicato sformato ai carciofi portato da Gaia e anche del vino di Francesco, il giallo paglierino fà bella mostra di sè alternando riflessi giovanili e accenni dorati, la prima zaffata al naso fà sobbalzare tutti: si avvertono note fumè, di frutta secca e sensazioni di miele di castagno, è un vino che non vuole fretta e noi lo aspettiamo, con l’ossigenazione e la roteazione vengono fuori sentori speziati freschi di erba cipollina ed anice verde e vaghi ricordi di frutta, necessiterebbe di altro tempo ma abbiamo altri 9 vini e quindi procediamo all’assaggio, la bocca và in altre direzioni, è molto cremosa, fresca, calda, con sapidità meno spiccata ma presente, si avvertono sensazioni di melone cantalupo, note vanigliate e una conferma delle spezie fresche sentite al naso, la bevibilità è gradevole oltre che intrigante, Salvatore avverte qualcosa di naturale in questo vino sicuramente del Nord e non ci và lontano, è un Lowengang Chardonnay 2006 di Alois Lageder orientato ormai al Biodinamico, un vino molto originale, forse non ancora elegante e armonico e con una bocca meno complessa del naso ma che merita anche una verifica tra un annetto per valutare la perfetta fusione delle note affumicate col resto e l’evoluzione della bevibilità. Il primo colpo di scena si ha intorno alle 22 quando Marisa che ha dato forfait all’ultimo minuto causa pioggia torrenziale, telefona dicendo che si trova a piazza Garibaldi con bottiglia anarchica e pietanza, pronte per noi ma senza un passaggio per raggiungere il gruppo: è necessario un pronto intervento e nel giro di 30 minuti è seduta al tavolo col suo patè di patate e tonno e la sua bottiglia in degustazione. Il vino è paglierino scarico, primo naso sulfureo e vegetale, poi evoluzioni su fiori d’arancio e finocchietto, in bocca entra largo e poi sprigiona una acidità che fà a pugni con una sensazione ruvida, arrossisco a dirlo: quasi tannica, che ripulisce in un attimo la salivazione provocata dagli acidi, il corpo è leggero ma equilibrato allo stesso tempo, al gusto le note minerali si affiancano a sensazioni di frutta acerba (nespola, uva spina) e fiori bianchi (fresia), grande bevibilità e piacevolezza, siamo anche qui in Campania con un Greco di Tufo Ciro Picariello 2009 che per essere prodotto con uva di terzi è un prodotto molto centrato che si sposa perfettamente con la preparazione della stessa Marisa. Si passa ai rossi, è il vino portato da Salvatore, colore granato scarico ma molto vivo, naso molto evoluto che gioca su note terziarie di ceralacca, pepe nero, smalto, poi finalmente le note di frutta sotto spirito, marmellata di corniole e qualche effluvio balsamico, la bocca ha un tannino elegante, ripulente, una bella freschezza, il vino è molto godibile e invita al riassaggio, la bocca esprime sensazioni polpose di piccoli frutti di bosco, note terziarie di muschio e tabacco, è un vino che nebbioleggia, molti al tavolo lo hanno bevuto in altre versioni della stessa azienda, è un Valtellina Superiore Sassella Stella Retica 2004 di AR.PE.PE un signor vino da agricoltura eroica come dicono i professionisti della materia. Entra in scena Umberto con la sua bottiglia, rubino scarico con richiami granati, di discreta consistenza, primo impatto olfattivo sul vinoso poi apertura su sentori freschi di piccoli frutti e note balsamiche, sensazioni di grafite e roselline insieme ad acceni erbacei: “che bella bocca ripulente, fresca, con tannino elegante e finale soavemete dolce che ammalia, ma che subito svanisce a favore di un retrogusto olfattivo di mandorla tostata e cassis“, il vino vuole farsi bere ed esprimere col tempo sensazioni nuove di evoluzione anche se assolutamente concentrato sulla freschezza degli aromi e del gusto, la bevuta è piacevole grazie anche ad una adeguata morbidezza e sapidità che gli donano corpo ma non pesantezza, il colore fà pensare ad un nebbiolo ma il naso e la bocca sono chiari è un vino Altoatesino, una bella rappresentazione di Pinot Noir versione Montigl Riserva 2007 della Cantina Terlan un prodotto che fà della armonicità ed equilibrio le sue armi di successo. Secondo colpo di scena, beviamo il vino di Mimmo che lo aveva provato qualche giorno prima al Firenze Wine Festival e che ha voluto condividerlo col gruppo anarchico ma che versato nel bicchiere non lo convince: il colore è un bel rubino concentrato e poco trasparente, solo qualche accenno granato, il naso ci parla di un vino internazionale o di un blend con vini internazionali ma Mimmo sostiene che siamo lontani anche se lui stesso avverte sensazioni olfattive vegetali, speziate, di frutta matura che non corrispondono ai suoi recenti ricordi del prodotto, continuiamo a guardarci negli occhi per capire cosa stiamo bevendo, la bocca è ruvida, rustica, tagliente, ancora poco equilibrata, il tannino è troppo presente e si affianca ad una acidità decisa che non riescono ad essere bilanciate da una buona morbidezza e una discreta componente alcolica, l’ossigenazione porta a scoprire profumi fruttati di visciole e odori di rabarbaro che si avvertono anche in bocca, Mimmo ci svela che stiamo benendo un Canaiolo ma una volta svestita (rigorosamente in carta alluminio come tutte) la bottiglia ci troviamo di fronte al vino di Rino: un Montefalco Rosso 2006 di Antonelli produttore storico umbro, l’uvaggio è in prevalenza Sangiovese, con 15% di Sagrantino e 20% totale di Merlot e Cabernet Sauvignon. E’ un vino assolutamente in evoluzione anche se Umberto ritiene che la vendemmia sia stata troppo anticipata e le note verdi sia al naso che in bocca difficilmente lo abbandoneranno anche col passaggio di qualche anno, io non contraddico ma la penso in maniera meno categorica.  Salvatore da rappresentante della sintesi sostiene che è un vino poco anarchico anche se la sua sentenza trae origine da una sua riluttanza verso i vitigni internazionali e verso il Sagrantino. Il vino di Mimmo è ormai scoperto e ci apprestiamo a giudicarlo senza dare fondo alla nostra fantasia ma con animo aperto verso un nuovo arrivato, il colore è rubino concentrato tendente al porpora, il primo impatto olfattivo è verticale: marasca, prugna secca e smalto, poi qualche accenno di fiori essiccati e ciliegie molto mature, in pratica però il naso è più intenso che complesso, la bocca è fresca, abbastanza tannico, di media morbidezza e alcolicità, la bevibilità è molto buona anche se la persistenza è corta e le sensazioni gustative sono concentrate su note fruttate e di passaggio in legno piccolo per i sentori di vaniglia, mentre molto meno si avvertono note mature al gusto, necessita senz’altro di una migliore amalgama e gli manca qualcosa sulla capacità di offrire emozioni complesse. Francesco non si è voluto tirare indietro in questa sua prima partecipazione e ha condiviso un altro vino, questa volta rosso dal colore rubino preciso, dal naso familiare e amichevole, subito in sequenza: sottobosco, funghi, tabacco, vaniglia, erba fresca, more, poi ancora pepe verde e ceralacca, la bocca è tra il contadino e il moderno, il tannino è ben levigato ma nettamente percepibile, dona un pronto azzeramento della salivazione indotta da una decisa freschezza e da una sapidità minerale, il corpo è ricco, molto polposo e masticabile e il finale ammandorlato e lungo, molto lungo, non può sfuggire a molti la potenza e l’eleganza dell’Aglianico ma di quale zona e azienda? Un evergreen, per molti un modello del nostro territorio il Taurasi Radici Riserva 2004 di Mastroberardino, mitico, perchè sempre centrato nonostante i grossi volumi! Con la nota alcolica che ripropone in gola tutte le sensazioni di frutta in evoluzione, forse il finale leggermente ammandorlato gli fà perdere quel tocco di eleganza che meriterebbe, ma ha talmente tanti anni davanti a sè che stappata adesso è già un discreto bere. Siamo alla mezzanotte e invece della fuga di Cenerentola entra in pista una pentola di coccio con dentro una zuppa forte di soffritto da adagiare, in antitesi alla tradizione, a della nordica polenta grigliata, siamo al colpo di grazia e macano ancora 3 vini. Ecco nel bicchiere il vino portato da Elena, un colore granato profondo, concentrato e netto, giusto qualche accenno aranciato ma veramente solo in lontananza, primo naso granitico e chiuso ma molto caldo di legno di cedro e note animali, poi con la roteazione del vino nel bicchiere note ancora più terziarie di china e pepe nero, infine more e amarene sotto spirito, la bocca è terragna, secca, ruvida, la freschezza è ripulente, le sensazioni sapide vengono solo in un secondo momento mentre emerge con irruenza la calda nota alcolica, al gusto si esprime con una bocca gradevole di muschio, frutta rossa in confettura non scontatamente dolce e ritorni di tabacco stagionato, rimane leggermente corto anche se pieno nella bevuta. Ci orientiamo su un vino del Nord camminando per le vigne del Veneto e del Trentino, invece siamo in Lombardia con un Oltrepò Pavese 2003 Pinot Nero di Az. Agr. San Michele ai Pianoni, un Pinot di una zona poco conosciuta dagli astanti che molti definiscono adatta al lignaggio di questo vitigno sia per le basi spumante che per le versioni ferme, a noi non è dispiaciuto anche se ancora scomposto nonostante i suoi sette anni e con una complessità e persistenza non eccelse benche molto concentrato in bocca. Ecco il vino di Generoso ancora in accompagnamento alla zuppa forte, colore molto bello: rubino concentrato e ancora purpureo nella sua unghia, primo naso per nulla semplice, le sensazioni spaziano dall’asfalto caldo (goudron) alla grafite, dal pomodoro essiccato al balsamico, ciò che emerge è il calore del sole e la mineralità, aspettandolo si possono avvertire odori vegetali e prugna secca, in bocca entra leggero, delicato, elegante, le note calde ed evolute del naso lasciano il posto a piacevoli sensazioni di aristocrazia irriverente, filosofeggio (!?!) si avverte una mano poco incline alla rotondità e alla ruffianità ma molto alla bevibilità e complessità, il sorso invita ad un altro sorso per cercare di scoprire nuove sensazioni che non tardano a emergere nonostante l’ora, la bevuta è ruvida e tagliente per la mineralità ma anche non banale per alcoli e polialcoli che non appesantiscono il tutto ma che donano completezza nella bevuta, siamo su un vulcano non possiamo sbagliarci, ma gli spunti derivano anche dal conoscerci un pochino come anarchici anche per quanto concerne i fornitori di bevute, infatti è nel bicchiere un Etna Rosso Vinupetra 2006 di I Vigneri di S. Foti, un grande vino non proprio accessibile e da tutti i giorni, ma che vale la pena tenere in cantina e bere per godere della vita.  Ultimo vino della serata, il mio, servito addirittura sul dolce di Fosca che azzarda l’abbinamento trattandosi di una crostata a sfoglia sottile con impasto di cacao amaro, caffè, mandorle e marmellata di susine, un “dolce non dolce” che entra in bocca profumatamente di caffè ma che si apre con la masticazione e la salivazione sugli altri ingredienti ben dosati ed equilibrati, il vino ha un colore rubino privo di trasparenze, unghia mattone, al naso è polputo e animale, sensazioni di cuoio e catrame, poi la roteazione invece di farlo aprire lo chiudono su sè stesso, vuole essere corteggiato e aspettato, sensazioni di polvere di cacao amaro, poi erba secca, pepe verde, inchiostro e melata di bosco, la bocca ci dona un tannino levigato, salivazione da mineralita e buona freschezza, solo dopo l’alcol viene allo scoperto senza bruciare la gola mentre i polialcoli donano un più che discreto corpo, difficile da capire, siamo veramente esausti e più che orientarci sul Sud non riusciamo (riesco?!?), nel bicchiere c’è un Sole di Sesta 2002 di Cottanera un Syrah dell’Etna un vino che non esprime i suoi otto anni sia nel colore che nella beva nonostante un bel po’ di sedimento, ma probabilmente troppo verticale al naso e poco complesso alla bocca, il cui vitigno di origine è poco conosciuto e approfondito dai partecipanti, ormai alla frutta o meglio ai sigari: un Montecristo e un Trinidad entrambi limited edition.