Di Claudio Tenuta

Dopo la pausa Natalizia e la mia personale voglia di tenere solo per me (noi) qualche serata anarchica, si parte più carichi di prima in questo 2011 ricco di promesse e speranze chissà quanto reali e quanto solo chimere. Undici componenti e qualche piccolo accorgimento organizzativo su quantità di vino e cibo da degustare sono le prime novità in un ottica di costante voglia di condivisione e crescita reciproca senza strafare. Subito per iniziare bollicine, quelle portate per l’apertura da Rino, colore bianco carta, perlage molto fine ma poco numeroso, naso incentrato da note di pan brioche e mandorle pelate, poi sensazioni di pasta frolla cotta e qualche aroma di frutta gialla fresca, in bocca la bollicina è carezzevole e la freschezza ben presente, non è tagliente, le sensazioni gustative virano un pochino dalla classica crosta di pane a ribes e mirtilli rossi appena colti, mentre la componente alcolica garantisce una adeguata rotondità al tutto. Ci orientiamo sull’Italia escludendo la Champagne e su metodo classico più che charmat, per esclusione eliminiamo la Franciacorta e ci indirizziamo su un Trento si tratta si di un Trento Talento Doc, ma prodotto in Alta Langa da Enrico Serafino con blend di chardonnay e pinot noir millesimato 2005 e permanenza sui lieviti 36 mesi. Bottiglia molto gradevole, elegante e beverina che punta sulla serbevolezza e non sulla complessità, perfetto abbinamento con la burrata sapidamente cremosa portata da Gianluca. Apriamo la mia bottiglia: un bianco paglierino scarico, di media consistenza nel bicchiere, con un naso verticale e spudoratamente aromatico: margherite, timo, freisa, pompelmo rosa, pesca gialla, con l’abbassarsi della temperatura aumentano le sensazioni e ci si orienta su un vino del Trentino da gewurtztraminer, la bocca ci allontana da questo vitigno aromatico, la sapidità inonda la bocca e la freschezza ripulente rende godibile una aromaticità spiccata, l’alcol è molto ben dosato e il corpo rende la persistenza più che discreta. Qualcuno parla di zibbibo siciliano e non si allontana di molto, è un Vina Esmeralda Catalunya 2009 di Torres con prevalenza di moscato di Alessandria e un 15% di gewurtraminer, ancora “fortunosamente” in perfetta armonia con Fiore sardo, salmastro e granuloso e Pecorino di media stagionatura di Nuoro tostato, erbaceo e lattoso, ma anche con le alici leggermente marinate in succo di arancia fatte da Fosca. Beviamo con cura un blend di falanghina portato da Elena per una assaggio richiesto da un produttore amico, non ci perdiamo molto tempo perchè le sensazioni sono olfattivamente incentrate solo su frutta esotica e floreale marcatamente dolce, in bocca conferma quanto il naso ci ha detto, partendo addirittura dolce e chiudendo troppo velocemente, assomiglia senza presunzione di giudizio all’ottima vendemmia tardiva di Telaro ma non ha una sua identità…non sapremo da Elena altre informazioni, il tutto resta nel massimo riserbo. E’ la volta del rosato di Gianluca, colore rosa chiaretto, discreta consistenza, primo naso chiuso su sensazioni di mogano e mallo di noce, dopo un pò si presenta agli astanti con belle sensazioni: cerasa, macchia mediterranea, mirto, miele di tiglio, in bocca non ha il corpo di un pugliese o di un abruzzese ma una buona bevibilità, perde in complessità rispetto alle numerose sensazioni date gradualmente al naso, parte in bocca ruvido e ammandorlato, di media freschezza e sapidità e come spesso capita in alcuni rosati con la nota alcolica che lo rende poco digeribile, si tratta di Primula rosa 2009 di Cantine Barone seguita dal conosciuto enologo Mercurio, il prosciutto S. Daniele portato da Marisa non disdegna il matrimonio, la salivazione indotta dall’insaccato viene asciugata dall’alcolicità del rosato mentre quest’ultimo non regge in termini di PAI col cibo. Primo piatto caldo, la mia zuppa di fave, cicerchie, grano saraceno, farro e lenticchie beluga con pancetta affumicata e profumo di timo e rosmarino, in abbinamento al vino di Generoso, il colore è rubino opaco e con particelle in sospensione, sensazioni olfattive evolute con apertura su note ossidative e poi frutta fresca rossa schiacciata insieme a rose appassite e terra bagnata, la bocca è magra ma in perfetta sintonia col naso, il tannino è in fusione con le note alcoliche e polialcoliche, mentre la spiccata freschezza del naso è meno aggressiva nel cavo orale, assaggiamo e riassaggiamo ma non riusciamo ad avvicinarci nè alla Regione di origine, nè ai vitigni, comprendiamo solo che si tratta di un vino prodotto in vigna e cantina con metodologie naturali: è un Isola dei Nuraghi igt TankaDeddu 2008 un blend di Monica di Sardegna, Carignano e Cannonau molto originale e delicato, forse per la tipologia poco complesso e che tende a svanire troppo presto in bocca. Ecco in campo il vino di Luca in abbinamento ai delicati involtini di pollo pancetta e salvia della moglie Lia, colore granato molto concentrato, consistenza decisa, primo naso evoluto su sensazioni terziarie di peperoncino, radice di liquirizia, peperone rosso in confettura e tabacco, poi ossigenazione e viraggio verso la frutta matura, la bocca è polverosa, complessa, ammaricante, note sapide si alternano con un tannino ben levigato ma presente, l’alcol spinge il cavo orale e si ripropone in gola in maniera netta evidenziando sensazioni gustative di cacao amaro in polvere e caffè appena macinato, il vino è troppo ricco per il leggero manicaretto di Lia, ci orientiamo verso la Puglia ma non indoviniamo che si tratta di Le Cruste 2004 di Alberto Longo un Nero di Troia in purezza molto centrato ma con avanti pochi anni di evoluzione ancora. Rino per la serata non si è voluto far mancare niente e dopo qualche beffa nel 2010 propone all’assaggio anche un rosso, colore rubino con tendenza al granato, impenetrabile, consistenza molto ricca di estratto, approccio nasale etereo e marmellatoso, amarena, viole essiccata, vegetale misto a paglia secca, la bocca è pulita, ruvida, fresca, l’alcol è in perfetta fusione col resto, il riassaggio conferma la presenza di note di torrefazione e frutti ancora turgidi con acceni minerali, dopo aver passeggiato per Umbria e Veneto riusciamo ad orientarci, non senza i giusti aiuti, verso la Toscana, a questo punto non possiamo sbagliarci è un blend a base di sangiovese ma con cabernet o merlot? Marchesi de Frescobaldi Luce 2000 un Supertuscan (sangiovese+merlot) ben fatto e di ottima complessità anche se ritengo che il tannino sia ancora troppo scalpitante e appena scollegato dal resto, un piacevole regalo in un ottica di confronto nell’evoluzione del gusto e delle mode enoiche. In veloce sequenza due sfide messe in campo dalle sorelle Fosca e Gaia. Terminate le pietanze salate iniziamo ad addentare dei cannoli cilentani fatti di piccoli fichi e granella di nocciole portate da Gianluca, il primo vino si presenta nel bicchiere aranciato, primo segno di un signorotto in là con l’età, naso ossidato e poco altro, vaghi ricordi di tabacco e balsamico, la bocca è magra per caduta tartarica e dei tannini, resta qualche sensazione di frutta secca e note eteree di ceralacca, nel complesso c’è poco altro, abbiamo provato un Barolo Riserva Borgogno del 1980 un anziano aristocratico che ci parla di un passato glorioso. Altra sfida dai colori aranciati e dalle numerose particelle in sospensione, naso caramellato, di cenere di leccio e faggio, marmellata di corniole, pepe nero, ecco la bocca che non ti aspetti, in evidenza freschezza di ribes neri e una sapidità rocciosa più un tannino ancora asciugante, il gusto alterna piacevoli sensazioni di gelatina di vino rosso e vaniglia, geranio e more di gelso, spicca la persistenza, il vino deglutito non lascia solo la sensazione alcolica ma una gradevole di frutta fusa a note boisè, stiamo bevendo un’ Aglianico del Vulture di D’Angelo 1985 che ci indica come questo vitigno in Lucania abbia delle potenzialità grandissime tutte ancora da esplorare. Terminiamo la serata con un Cohiba Robustos e lo zuccotto al limoncello ripieno di ricotta e scaglie di cioccolato fondente preparato con delicata maestria dalla dolce Elena e penso agli ultimi due vini provati al buio, come per tutti gli altri, che rappresentano il senso delle serate: la volontà di non portare il vino più costoso o più buono rispetto agli altri ma la bottiglia che si può aprire, bere e giudicare liberamente solo con una banda di svitati anarchici!