Di Franco De Luca

Si riparte con le serate della Taverna do’ Re, questa volta però con una forma leggermente diversa, il tema di base è territoriale e la serata è dedicata alla Sicilia.

I vini in degustazione sono quelli di Cusumano, due bianchi dal nome tutto siculo, Angimbè e Jalè.

Il primo è per il 70% Insolia, il vitigno autoctono caratterizzato da un buon nerbo, fresco e deciso, che in questo caso viene ammorbidito dallo chardonnay per il restante 30%. Riguardo al nome sappiamo che esso deriva da una sugheraia, che non è una donna che vende il sughero bensì il bosco che costeggia i filari. Ma la domanda è: Come si può mettere ad un vino il nome di una sugheraia e poi proporre la bottiglia col tappo a vetro? Per fortuna l’incoerenza è solo in questa curiosa scelta. Il vino è assai più coerente e convincente. Sia alla vista che al naso si percepise subito la freschezza che ritroviamo al gusto. La sua luminosità e la frutta a polpa bianca infatti suggeriscono un vino di struttura media e dotato di una durezza gradevole atta a compensare la tendenza dolce dei primi piatti in abbinamento. Decidiamo infatti con Giovanni e Francesco di abbinarlo all’entrée che è il tortino di panelle su una crema di ceci, sulle sarde a beccafico e sul cous cous. I piatti di Francesco sono sempre molto in equilibrio, in questo caso tuttavia volutamente rivolti alla tendenza dolce proprio per consentire la valorizzazione del vino e dell’abbinamento.

Il secondo vino è un pezzo da novanta, il potente jalè. Si tratta di uno chardonnay in purezza che abbiamo abbinato alla salsiccia di tonno. Quando Massimo lo ha versato nel bicchiere sembrava olio dalla consistenza, la salsiccia ha cominciato a tremare nel piatto dalla paura di non reggere a tanta potenza. Ma per fortuna Francesco non si è risparmiato nell’utilizzo delle spezie e delle erbe aromatiche e così che la struttura e la complessità del vino si sono poi ben sposate col piatto. Io generalmente non amo i colossi nel bicchiere, l’alcolicità estremizzata ed il bere masticabile. Devo tuttavia riconoscere che per i bianchi il discorso è un po’ diverso, i bianchi pesanti si vanno a collocare bene nella zona grigia dell’abbinamento cibo-vino, riuscendo cioè lì dove i bianchi generici non riescono a giungere ed i rossi ci giungono troppo. Personalmente preferisco i rosati ma lo jalè ha accompagnato molto bene la saporita e gustosa pietanza dello chef Parrella che si è attenuto fedelmente alla tradizione siciliana.

Sul finale Francesco si è poi superato, lì proprio non si può non cedere all’adulazione. La “cassata scomposta” di scomposto c’aveva solo il nome. Si tratta di tutti gli ingredienti del famoso dolce siculo ripresentati in una disposizione assolutamente nuova. Un disco di pan di spagna con sopra una spuma di delicatissima crema alla ricotta costellata di gocce di cioccolata e frutta candita. Il Ben Ryè non lo produce Cusumano ma ha accompagnato alla grande il delicatissimo e piacevolissimo dessert. Cosa aggiungere, all’uscita parlavamo un po’ tutti con accento palermitano per l’immersione totale nella regione che vanta probabilmente la più complessa tradizione gastronomica. I ricchi sapori, l’essenza del mare, la potenza e l’eleganza del vino , la simpatia e la generosità di “cip e ciop“, al secolo Giovanni Lamberti e Francesco Parrella, han reso come sempre possibile la realizzazione di un evento dove il matrimonio più riuscito non è tanto nel piatto e nel bicchiere ma nell’aria, dove cioè si uniscono in maniera quasi spontanea gusto e cultura. Credo che sia un buon risultato, soprattutto di questi tempi. Baciamo le mani.

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