Di Mauro Illiano

Dopo aver esaurito, per usare un eufemismo, il mio personale ritratto sulla gastronomia mondiale, durante il quale ho avuto modo di esaminare continente per continente il differente significato e le diverse sfumature assunte dalla gastronomia, oggi sono qui ad inaugurare un nuovo ciclo di Viaggi Globo-enogastronomici.

Vi parlerò delle Capitali del Gusto, ovvero di quelle città che ho avuto il piacere di visitare, disseminate un po’ in tutto il mondo che, a mio avviso, posseggono quel “qualcosa in più” dal punto di vista enogastronomico. Ma non lo farò con la consueta schematicità, che pur m’è cara, seguirò piuttosto le mie memorie, raccontandovi d’un sorso l’esperienza a cui vi esporreste qualora doveste mai decidere di alzare lo zaino in spalla e partire…

Ad alcuni di voi potrà sembrare strana la scelta di partire da Marrakech, quando avrei potuto iniziare dalle ben più note Parigi o Nuova Delhi, o magari dall’Italia. Ebbene, vi dirò che, almeno per ciò che attiene l’eterogeneità delle ricette e degli ingredienti, nonché per la passione unita alla gioia che i marocchini utilizzano nell’atto di cucinare, Marrakech non è seconda a nessun altra città quanto ad interesse gastronomico!

Nascosta tra catene montuose in una pianura rossastra bruciata dal sole, siede una città di origini nomadi i cui confini del centro son segnati da alte mura di fango, ed immensi portali, decorati dalle più fini mani Almoravidi, consentono l’accesso a mercanti e carovanieri da un tempo che solo i millenari ricordano. Palme da dattero ed una policromia a tre fonti, che dall’alba al tramonto sembra mutare dal vermiglione all’alzarina, passando per le più morbide tonalità di beige.

Man mano che si procede dalle mura al centro, i cinque sensi vengono letteralmente assaliti da un carnevale sensoriale. La prima a farne le spese è la vista. All’orizzonte il primo a svettare è il fumo, che incessante fuoriesce dai pentoloni dei cucinatori di lumache, poi, all’avanzar del passo si scorge il resto dell’universo racchiuso nella Piazza più bella del mondo, Jemaa el-Fna. Ma da qui in poi i sensi lavorano insieme. Carretti e carrettini posti in file asimmetriche ospitano le braccia forzute di spremitori di arance, che all’impazzata si sfidano a colpi di campanelle e grida onde accattivarsi  i passanti. Poi un uomo ornato delle più bizzarre vesti attira l’attenzione: divisa luccicante, occhiali spessi, ed un cappello sferico con sonagli pendenti, in mano un’enorme teiera color oro.. un venditore d’acqua. E poi l’angolo salmastro dei mercanti di olive, con quei vasetti di tutte le dimensioni ad ospitare succose gemme verdi. Solo un istante per girarsi, ed ecco avide api dividersi i pochi centimetri scoperti del vicolo più dolce del memorabile Souk, la via dei dolciari. Arachidi, nocciole, pistacchi, noci, e poi biscotti secchi o al miele, paste di mandorla, cioccolatini alle spezie e cacao sfuso, tutti coperti da un sottilissimo velo di plastica, che inconsapevole riflette le luci al tungsteno perennemente accese, appese ad un filo talmente sottile da sembrare invisibile. Cosa dire, poi, dei venditori di caffè al cardamomo, uomini arcuati caricati di un termos, costantemente in giro nel mercato a ripetere le stesse tre parole “Kahwa, tnin dirham” Caffè.. due dirham.  E mentre il passo non sa dove procedere il naso ha lo stesso dilemma. Dal basso dei catini riempiti di acqua calda e prodigiose quantità di menta, un sentore tra i più potenti assale le narici, mentre un ragazzino è già pronto ad offrirci una porzione di quell’infuso, servito in un logoro bicchiere che sembra avere la stessa età della città. Pochissimi istanti, ed è tempo di resettare l’olfatto onde poter captare l’odore pungente di un couscous in cui semola, agnello, timo, cumino, coriandolo e chi più ne ha più ne metta, contribuiscono a rendere memorabile quell’esperienza. Questo, ma non solo questo è Marrakech. Per chi fa del passo il suo credo c’è altro da donare ai sensi. Inoltrandosi nelle feritoie del Souk si possono scorgere anfratti sottoposti al viale, essi altro non sono che la casa dei custodi del fuoco, uomini prescelti per vegliare sui forni della città, dai quali fuoriesce il sostentamento di buona parte dei marocchini, il famoso pane azimo. Ancora e ancora ne vuol la gamba per giungere al vero regno dei sentori, in cui i colori sono superati solo dalle sfumature olfattive, e piramidi apparentemente instabili sono affiancate in banchi rettangolari incastonati in botteghe minuscole, il regno delle spezie. Zafferano, curcuma, paprika dolce o piccante, pepe, sale, cumino, coriandolo, anice, curry, cannella, e poi melange sapientemente assemblati per completare piatti a base di pesce, carne o verdura.. Un ultimo sforzo per superare i mercanti di piante officinali, e poi di nuovo in piazza, per assaporare un’indimenticabile Tajine di pollo o un Mechoui, agnello intero cotto in un forno di fango..

Tutto questo accade in un frastuono inverosimile… tamburi, sonagli, tamburelli e grida, non conoscono soluzione fino a tarda notte, quando le vie si svuotano e le terrazze si affollano di sognatori. Su tutte le voci stride, cinque volte al dì, il più potente richiamo alla preghiera, nenie tonanti si uniscono dalle torri delle Moschee della città, e per cinque volte, due minuti per volta, non esiste altro rumore. Poi è di nuovo festa.