“O uomini che avete una mente sana, bevete il caffè e non curatevi dei calunniatori che lo denigrano con sfacciate menzogne. Bevetelo, prendete generosamente, perchè nel suo aroma si dileguano le preoccupazioni e il suo fuoco incenerisce i torbidi pensieri della vita quotidiana”.

(Hajdjibud di Medina 
(giurista arabo))

Di Fosca Tortorelli

Ci troviamo nel quartiere San Lorenzo di Napoli, che insieme ai quartieri Poggioreale, Zona Industriale e Vicaria forma la quarta municipalità del comune.

Il quartiere San Lorenzo è in genere considerato il cuore storico della città, poichè, sin dai tempi della fondazione greca sorgeva qui l’Agorà, fulcro delle dinamiche sociali ed economiche, nei pressi di quella che attualmente è la basilica di San Lorenzo Maggiore; inoltre è vero pure che ancora oggi, San Lorenzo, concentra gli elementi tipici della tradizione napoletana e alcuni degli aspetti caratteristici che hanno reso la nostra città celebre nel mondo.

Stavolta la ricerca si è orientata maggiormente su un’arteria di confluenza di più quartieri e ci si sposta leggermente dal nucleo più stretto e conosciuto, proprio per poter raccordare un’area più vasta che arriva fino alla zona nuova del Centro Direzionale.

Ci troviamo sul Corso Garibaldi, connotato da un’architettura che consta di storici edifici neoclassici e liberty ed è parte confinante del quartiere San Lorenzo, unendo nella sua estensione, piazza Carlo III e piazza Guglielmo Pepe, attraversando la più nota Piazza Garibaldi.

Non è stato facile individuare un bar che avesse ancora un suo carattere identitario e una sua storia, viste le trasformazioni subite dall’area orientale della città, ma per fortuna dopo una lunga ricerca, ho scoperto al numero 169 del Corso Garibaldi il Bar Brasil.

Questo bar ha quasi cinquant’anni di storia, infatti è nel marzo del 1959 che il proprietario, il signor Sebastiano, acquista la prima macchina da caffè; con il passare del tempo il Bar Brasil, si è fatto strada ed è diventato un punto di  riferimento importante sul centralissimo Corso, sia come un luogo di ritrovo sia come ambiente ideale per una pausa relax o per una semplice chiacchierata davanti ad una  tazza di caffè.

Attualmente sono i quattro figli di Sebastiano che continuano a gestire il bar di famiglia, cercando sempre di utilizzare come ingredienti fondamentali per il loro lavoro,  tradizione e genuinità.

Pur presentandomi in un orario mattutino, in cui i clienti entrano ed escono affollando il bar, il simpatico Michele (uno titolari del bar) e il barista Enzo, mi accolgono e cercano di accontentare la mia curiosità sulla preparazione del caffè.

Inizio come di consueto con qualche domanda meno tecnica che riporto in forma di botta e risposta:

– Cosa rappresenta il caffè a Napoli? Come viene visto da Turisti e cittadini?

 Per Michele: “Il caffè a Napoli è come la pizza, ha un forte valore simbolico e rappresenta un momento in cui ci si può incontrare”.

Analogamente Enzo sposa la stessa tesi.

 

– Quali difetti non deve mai presentare un caffè?

 “Non deve assolutamente essere acquoso, al contario è fondamentale che sia cremoso e abbia un bel colore biondo”.

 

– Quale può essere la “sposa ideale” del caffè? (a quale dolce, della tradizione o non, vi piace accompagnarlo)

 Anche in questo bar va precisato che il caffè viene servito zuccherato, ma sia Michele che Enzo, affermano con decisione che: “il caffè va assaporato da solo e senza zucchero. Rigorosamente amaro e in tazza bollente.

Ad ogni modo va rispettato il gusto di tutti e va bevuto così come piace”.

 

– Quale deve essere la filosofia del vostro caffè?

 Michele senza battere ciglio risponde in maniera rapida e ferma: “Cerchiamo di offrire un buon caffè sia dal punto di vista qualitativo, sia per quanto riguarda il portafogli, creare un ambiente familiare, senza mai scavalcare la soglia di confidenza”.

Anche Enzo concorda e sottolinea  che il bello di questo lavoro è dato anche dal poter coccolare i clienti e dal poter comunicare con loro.

 

Per ciò che attiene, invece, l’aspetto dell’approfondimento più tecnico, ho pensato di rivolgere le seguenti domande:

–  La macchina (la tipologia, il settaggio, il lavaggio, la manutenzione)

 “Abbiamo una macchina artigianale di Attilio Bosco a leva e con doppia caldaia, in modo da poterne gestire l’utilizzo in base al tipo di consumo.

La pulizia viene effettuata a giorni alterni con sale marino grosso, senza uso di additivi. Oggi si cerca di usare macchine automatiche, che però portano ad un prodotto privo di carattere.

Altro aspetto fondamentale riguarda la pulizia del Macinadosatore che avviene settimanalmente, mentre per la pulizia delle tazzine utilizziamo uno scaldatazze a vapore”.

– La mano del Barista incide?

 “Decisamente, a monte è fondamentale saper scegliere la giusta miscela – noi personalmente la miscela la compriamo, e ne abbiamo cambiate almeno un paio nel corso dei quasi cinquant’anni di attività- ma senza l’esperienza e la professionalità di chi svolge questo mestiere è difficile ottenere risultati qualitativi adeguati.

Purtroppo però oggi si tende sempre più ad utilizzare macchine automatiche perché lo staff di un bar cambia spesso, perdendo in tal modo professionalità e competenza.”.

 

– Che tipo di acqua utilizzate?

 “Acqua depurata con filtri a carbone”.

 

 

– Umidità (incidenza e condizioni ideali)

 “L’umidità incide notevolmente, per questo motivo è fondamentale regolare il macinadosatore giornalmente”.

 

– Miscela e tostatura (segreti, difficoltà, parametri di ottimizzazione)

 “La miscela che utilizziamo oggi è la Moreno espresso bar (busta gialla)”.

– Tazzina (quanto incidono tipo, temperatura, pulizia)

 “Usiamo solo la classica tazzina di porcellana perché solo la porcellana con il suo spessore ci garantisce la giusta temperatura e riesce a resistere agli shock termici, mantenendo la consistenza della crema”.

 

Conclusa la proficua intervista ho ringraziato Michele e Enzo per il tempo dedicatomi.