Pierpaolo SirchDi Annito Abate

Reputo l’annuale Seminario dell’AIS Campania uno dei punti “alti” della comunicazione enoica, attività di eccellenza organizzata dalla Didattica dell’Associazione Italiana Sommelier Campania che, quest’anno, “celebra” la sua Terza Edizione (ho avuto il piacere e l’onore di partecipare ad ognuno di questi eventi ed ogni volta sono tornato a casa arricchito, ma soprattutto più motivato a proseguire nella mia passione: comunicare il Mondo del Vino e del Cibo!).
Quest’anno si vive un vero e proprio Master che si propone quale poliedrica visione della Campania del Vino, intra moenia ed extra moenia, raccontata, con piglio olistico, da 5 grandi attori, ognuno con la sua parte, ognuno con il suo carattere, una “rappresentazione” in 4 Atti + 1 per emozionare il pubblico degli appassionati:
Primo Atto , Pierpaolo Sirch, in … l’Agronomo
• Secondo Atto, Luigi Moio, in … l’’Enologo
• Terzo Atto, Manuela Piancastelli, in … il Comunicatore (le voci di “dentro”)
• Quarto Atto, Piero Mastroberardino, in … l’Economista
• Atto Conclusivo, Armando Castagno, in … il Comunicatore (le voci di “fuori”)

Primo ATTO : Pierpaolo Sirch in “L’Agronomo”Presentazione del Master

PierPaolo Sirch è in Campania da più di 15 anni e ci è venuto perché, come ha detto, ne è stato colpito dal Paesaggio, in Irpinia ha trovato tutto quello che un viticultore (inteso proprio come culture della vite) può cercare, e trovare: agricoltura, contadini, vigne e terreni, quelli scomparsi in molte altre parti d’Italia
Luci basse sui due schermi laterali dove cominciano a scorrere immagini di vari vigneti, bellissimi e bruttissimi, coerenti ed incoerenti, armonici e disarmonici, tutti comparati con l’idea “sana” di paesaggio, quella che si basa sulla biodiversità.
«Che ruolo ha l’Agronomo oggi?» chiede Sirch, retoricamente, al suo pubblico silenzioso ed attento.
durante la lezioneUn approccio diverso, dice, perché deve salvaguardare la biodiversità, «prima era un interventista, un medico che curava i sintomi di una malattia con interventi e scelte anche impattanti (trattamenti, prodotti, concimi)» e, continua, «oggi è architetto, una figura che tutela il paesaggio».
La vite è una liana che va “progettata” nello spazio e nel tempo; se l’Uomo l’abbandona produrrà sempre meno e peggio, di contro, se è la vite ad abbandonare chi tenta di addomesticarla in modo non corretto, si avranno conseguenze negative sui frutti e sui loro derivati. E’ la perfetta interazione natura-uomo che permette alla pianta di non ammalarsi, di crescere con vigore ed arrivare alla “sana” produttività ed a chi la “cura” di gratificarsi con i suoi frutti.
Il primo messaggio fondamentale è che bisogna “assecondare” i segnali che “lancia” la pianta, una vite sana produce meglio di una malata non solo in quantità, ma soprattutto in qualità; le potature sono “ferite” a volte inguaribili ed è per questo che vanno progettate nel tempo e nello spazio.
Le produzioni agricole si stanno decentrando, il ruolo assunto dalle vie di comunicazione, quello imposto dall’economia, ha fatto si che fosse la montagna, anzi in questo caso la collina, ad andare da “Maometto”: si sono spianati interi colli, eliminata vegetazione, tagliati alberi per portare i vigneti verso le strade, più facilmente raggiungibili; un tempo il paesaggio era un mosaico di alternanze vegetali, coltivate o meno, dove si affermava, senza equivoci, il concetto di biodiversità che oggi siamo costretti, a salvaguardare. La cartina di tornasole, la sintomatologia evidente, la sofferenza delle viti si nota nell’espressione vegetativa estremamente disomogenea. «Abbiamo modificato completamente la natura del terreno, impoverito il paesaggio, le viti sono tutte uguali perché figlie di selezioni clonali» così racconta Pierpaolo Sirch mentre continuano a scorrono le immagini, le pause ed i silenzi sono significativi, poi incalza accorato «abbiamo spostato la viticoltura dai terreni vocati – poveri, ventilati, impervi – a quelli meno vocati, le pianure ad esempio; gran parte del lavoro, allora, si riduce ad una corsa a correggere gli errori; nel bicchiere si ritrovano le sostanze utilizzate in vigna».
Ridurre la chimica, allora, non è una scelta o una moda ma un obbligo, si potrebbe “canticchiare” “tu chiamalo se vuoi … sviluppo sostenibile”. Questa espressione, carica di significati, può diventare un ossimoro se non si “dosa” un approccio olistico: ecologico, economico, sociale. Proprio in riferimento a questo ultimo termine l’Agricoltore ha un ruolo fondamentale: “mantenere il paesaggio nella sua diversità, nei suoi valori precipui”.
E l’Attore, in arte Agronomo-Viticoltore, sembra recitare: “mi presento, sono un Preparatore d’Uva, mi chiamo Pierpaolo e so fare in vigna … Tu conosci Marco? (Simonit)”
Con fermezza Sirch, guardando dritto avanti a se, tuona “I diserbanti sono la morte della vite!” e … detto da lui.
Il secondo messaggio fondamentale è quello più nobile insito nel concetto di salvaguardia: la Campania è un gioiello raro dal punto di vista agronomico e della viticoltura, è un territorio ancora “salvo”, va quindi affermata la consapevolezza che il suo paesaggio non può e non deve degenerare per non perdere le zone vocate e quel “genius loci” vitivinicolo che ancora persiste nei vigneti storici, sopravvissuti a tutto, anche alla fillossera.
Si pensi alle forme tradizionali, quelle più o meno espanse, alle antiche Starsete dell’Irpinia ad esempio [qui e qui  qualche approfondimento], in questa epoca le forme di allevamento sono ridotte, nella pratica, solo a due, entrambe a controspalliera: quella a tralcio rinnovabile (Guyot) e quella a tralcio non rinnovabile (Cordone Speronato); tornando alla recitazione, questa volta al Cinema, è come dire che “Clint Eastwood ha solo due espressioni: con il cappello e senza cappello”. Questi due “sistemi”, insomma, sono necessari per ottenere un certo tipo di prodotto; un “vino maschera” o un “attore enoico”?. «E’ cambiato il modo di gestire le vigne, quelle delle forme ramificate della tradizione, legate ai diversi territori per tradizione genetica», sembra rammaricato Sirch quando pronuncia questa frase, poi si ravviva e replica «In Campania la storia ha il suo peso, il Paese intorno al “Cratere” ha una situazione viticola di straordinario valore, tagliare una vigna vecchia vuol dire perdere un bene prezioso per il territorio».
L'intervistaIl terzo messaggio fondamentale è che questa Regione è tra quelle che ha più materiale genetico e varietà autoctone d’Italia di cui molto non ancora selezionato e clonato; gli agricoltori non si limitano solo a produrre uva ma anche olio, nocciole, vari ortaggi, il paesaggio, allora, non è rovinato e mantiene una sua eterogeneità e biodiversità.
Il quarto messaggio fondamentale è non disperdere il patrimonio genetico e salvare i vigneti per salvare i vini, portando nella bottiglia il paesaggio e la sua storia.
La straordinarietà di un vigneto non “omologato” rispetto ai canoni della modernità produttiva risiede nella diversità e negli spazi: le uve hanno sapori diversi anche da pianta a pianta e questa “miracolosa” mescola, a parità di purezza della cultivar, fa molto bene al vino; i nuovi impianti, poi, non considerano la necessità di spazio di cui la vite ha bisogno per esprimersi.
Mentre nella sala cominciano a colorarsi di gialli diversi i calici e si diffondono i profumi che da essi si levano, subliminari, quasi un mantra, restano nella mente i messaggi ed i concetti appresi: inserire viti nuove nei contesti antichi, sostenere i cambiamenti ed i valori diversi del paesaggio alternando alle vigne i boschi, gli uliveti, piccoli appezzamenti coltivati a rotazione, preservare le condizioni naturali che influenzano l’attività biologica della pianta da uva, non disperdere il patrimonio genetico, favorire la corretta interazione tra uomo e territorio.
Pierpaolo Sirch e Giovanni Ascione, prima delle degustazioni previste, parlano di viticoltura ed enologia: «Quale sistema di allevamento preferisci?» chiede Ascione a Sirch, «Mi piace l’alberello perché stimola la riflessione, è molto longevo». Si parla dei vitigni più vocati al biologico, che precisa «Non si può fare da tutte le parti, ci vuole un ambiente ideale e poi bisogna avere predisposizioni varietali che geneticamente sopportano meglio gli attacchi fungini, il Fiano ad esempio».
I vini in degustazioneSi parla dei vini, di quelli preferiti, poi i due protagonisti ci raccontano quelli che abbiamo davanti nei bicchieri: 4 Fiano di Avellino, campioni di vasca prelevati per l’occasione e che provengono da quattro vigne differenti, situate anche a pochissima distanza tra loro; 1) Sorbo Serpico (già abbastanza pronto, fruttato ma non ruffiano, bella personalità, sapidità e freschezza già ben integrate); 2) S. Stefano del Sole (lasciato a vendemmia tardiva, esprime un insolito carattere “pirazinico”, erbaceo, di fiori freschi e qualche sentore spinto più verso l’aromatico) 3) Lapio (evidentemente floreale, spicca il finocchietto, strutturato, si fa sentire la potenza ed il calore); 4) S. Angelo a Scala, fruttato ma meno del campione 1, una vigna di un conferitore molto ben tenuta ed “allevata” a raggiera.
Sullo schermo i parametri fondamentali comparati in una tabella (alcol, zuccheri residui, acidità totale, Ph), stesso vitigno, zone ed espressioni differenti; i 4 campioni saranno assemblati ad ottenere un unico progetto di vino, ognuno ora è solista in vasca, presto dovranno “suonare” insieme con armonia per esprimersi nel concerto enoico voluto.
Prima di andare via un quinto messaggio fondamentale, questa volta un’anteprima da una Grande azienda quale sono I Feudi di San Gregorio che oggi il Grande Agronomo rappresenta: «stiamo per mettere in bottiglia una storia, seguiamo da zero una vigna nel rispetto totale della sua biodiversità per farne un vino unico».
Dalla sala si esce come dopo aver visto uno spettacolo che ha lasciato tracce nel cuore e nella mente, tra poco ancora uno spettacolo: silenzio, comincia il Secondo Atto!
Foto di Paola Vitale