Da un libero arrangiamento di contributi sparsi realizzato da Fabio Cimmino

debatingterroir.jpgSono diversi i fattori che concorrono a definire la tipicità di un vino ma sicuramente il più importante e, anche, il più abusato, è quello che da sempre viene indicato e ricondotto al termine francese di “terroir”. Non molto tempo fa hanno fatto scalpore le parole di un noto giornalista d’oltremanica Mark Squires che provocava, chiedendo “Is terroir dead?” (“il terroir è morto?”). L’ autore azzardava la tesi, a dir il vero molto americana, secondo la quale il terroir avrebbe, oggi, perso, molto del suo vecchio appeal e della sua significatività, a scapito di altri fattori (ne elenca , oltre una decina) tra i quali, ad esempio, la “progettazione” del vigneto e le tecniche di cantina, solo per citare quelli, oramai, sempre più ricorrenti. In effetti i vini più “internazionalisti”, da vigneti giovani di varietà e con mano pesante in cantina e legno a profusione, il legame territoriale lo perdono davvero. Così come, d’altro canto, lo perdevano i vecchi vini, molto spesso, approssimativi, puzzettosi e rustici. Ma il grande, grandissimo vino, unico ed irripetibile, è, ancora oggi, soprattutto, territoriale. Se così non fosse non ci troveremmo più di fronte a un fuoriclasse, a un prodotto di talento, ma molto più semplicemente e tristemente, aggiungo io, a un ottimo prodotto standard. Questo potrà essere di altissimo livello (dal punto di vista realizzativo) ma, appunto, proprio per questo motivo, tecnicamente riproducibile, ovunque, con buoni vigneti e buoni protocolli, comunque privo di quelli che molti amano definire “aura”. Il problema è un’altro, non tutti gli assaggiatori (quelli di lingua anglosassone sono, spesso e volentieri, neanche a farlo apposta, tra questi) riescono a riconoscere e ad apprezzare l’ “aura” di un vino. Questa, per essere colta, deve incontrare il talento estetico dell’assaggiatore. E, se tutti i giornalisti a un certo livello si presume siano esperti e tecnicamente preparati, spesso mancano di gusto estetico. La degustazione è una disciplina estetica, non si può essere buoni assaggiatori senza uno spiccato senso estetico. Si tratta di una dote in parte innata, per quanto la si possa, e in un certo senso la si “debba” educare, affinare ed esercitare. Distinguere, senza appoggi esterni, un buon quadro “di maniera” da un capolavoro così come un vino di altissimo livello da un grande vino, è fondamentalmente la stessa cosa: richiede un’ intuizione di tipo estetico. Esperienza e conoscenza tecnica, come nella fruizione artistica e musicale, sono un supporto indispensabile, ma pur sempre, solo, un supporto. Non è affatto il terroir, inteso in maniera piuttosto classica e scolastica, ma che spesso può però risultare riduttiva, come semplice insieme di fattori quali terreno, microclima, topografia locale e delle loro reciproche interazioni, nonche quelle fra macroclima e mesoclima, ad essere irriproducibile ed insostituibile. Il mondo è certamente “pieno” dando retta ad un minimo di intuito statistico-combinatorio, di luoghi in cui si potrebbe produrre un Nebbiolo dello stesso carattere di quello delle Langhe, o un Pinot Noir della stessa levatura di quello della Cote d’Or. Quello che è assolutamente irriproducibile è la mano dell’artista, ovvero l’esperienza storica della relazione primigenia di una gente con la propria terra, che lungo i secoli ha sviluppato forme assolutamente singolari del sentire la natura e del concepire l’uomo, e il loro congiungersi in un modus specifico, lo stile di una terra, appunto, il suo genus, il genius loci. In una espressione sola, non meno precisa del francese terroir (che lo sembra, più precisa, solo perche può materializzarsi agli occhi di chiunque, attraverso enti del reale dotati di fisicità evidente: terreni, microclimi e via discorrendo), cultura del posto, soggettività storica. E’ così palese la rassomiglianza del carattere del vino alla gente dei posti da cui proviene, che viene quasi da sorriderne: pensiamo al Barolo e alla arcigna ritrosia dei piemontesi, che con il tempo fiorisce gradualmente in affetti e raffinatezze psicologiche sempre più espressive; pensiamo al Chianti e alla rusticità e il nerbo sapido dei toscani, schietti da subito e uguali a se stessi dai venti ai cent’anni; pensiamo ai mitici vini d’oltralpe e alla raffinata luminosità dei parigini, che mantengono con spumeggiante vivacità la mano alle maniere più raffinate e al savoir faire più complesso, fatto in fondo di sapidità e sagacie limate a lungo attraverso le sottigliezze acri dei salotti alla moda. Si potrebbe obiettare che questa corrispondenza fra genti e vini è quanto di più fantasioso sia dato di pensare, se non fosse dato anche di considerare che proprio la specifica natura dei luoghi ha guidato, lungo i secoli, la selezione, spontanea o indirizzata dalla stessa opera dell’uomo, di specifiche e particolari varietà di vite. Il terroir è, dunque, una cosa che percepiamo in maniera più sottile e più sfuggente di una certa, alquanto semplicistica, tipicità di profumi o aromi.ll terroir, in una concezione leggermente ma inevitabilmente allargata, diventa non più, solo, luogo fisico. La sua essenza artistica, unica ed irriproducibile non vive nel luogo. Essa vive, piuttosto, all’interno delle strutture biodinamiche che ne sanno catturare e rielaborare l’essenza, la sapidità, l’unicità, ovvero nella vite autoctona e nella tradizione. Rimango esterrefatto, positivamente, di fronte a chi ha voglia e competenza per fare l’analisi organolettica di una bottiglia sezionando tannini, acidi, zuccheri, bromuri, ioduri, bisolfiti e cianuri. Trasecolo, sempre positivamente, per chi si limita a dire se un vino sà di buono oppure sà di nulla. Ma la carica emozionale che una grande bottiglia di vino è in grado di trasmettere è tutt’altra cosa. Sforziamoci di ricercare nel vino la sua tipicità, ciò che lo rende veramente unico, privilegiamo i vini che seguono questa filosofia. E’ questa la migliore arma che abbiamo per salvaguardare il patrimonio immenso che la natura e la storia ci hanno tramandato. Facciamone cultura e soprattutto emozioniamoci…

Foto: Wine Appelation America