Di Michela Guadagno
scrivere.jpgInviata dall’Ais Napoli. Io? Leggo sul dizionario dei sinonimi: sostantivo = incaricata, rappresentante, portavoce, ambasciatrice, sì ci può stare; giornalista, corrispondente, reporter, cronista, no, non sono io, non ho le competenze tecniche nè men che meno il dono della sintesi; aggettivo = mandata, spedita, nel senso di allontanata? cacciata? e che ho fatto?…. A modo mio, l’unico che conosco, mi accingo a scrivere un’altra volta (ma allora è vizio?) su questo blog, temendo le conseguenze Parto per Aglianica Wine Festival un pò meno pimpante dell’estate trascorsa, si sa, le vacanze finiscono, il ritorno al solito tran tran non è dei migliori, questo weekend è l’occasione che ci vuole per evadere di nuovo. Vado. La manifestazione comincia venerdì 5 settembre, io però sono a Torrecuso per il Brio… della falanghina, dove cinque aziende, Ocone, Cantine del Taburno, Fontanavecchia, Telaro, Feudi di S. Gregorio, presentano la loro versione spumante di falanghina. Maria Grazia De Luca, Antonio Del Franco e Michele Giordano si alternano alla guida delle degustazioni, esaminando i primi quattro vini metodo charmat, il Brut di Ocone in uvaggio con coda di volpe e greco, l’extra dry di Pippo Colandrea e il Nudo Eroico di Libero Rillo entrambi da falanghina del Taburno in purezza, il Tefrite di Galluccio, e l’unico metodo classico, il Dubl millesimo 2005. Tutti concordi che la falanghina in versione brio regge bene la spumantizzazione per la sua acidità totale elevata e il suo corredo aromatico, adatta sia come aperitivo che a tutto pasto.
Ed eccomi ad Aglianica: non conoscevo Melfi e mi è piaciuta con il suo borgo a ridosso del Castello svevo-normanno, però che caldo! Parcheggio e chiedo indicazioni per la manifestazione, l’edicolante distribuisce la brochure con il programma, mi stupiscono la cortesia e la precisione delle informazioni. Quando arrivo dopo la salita a piedi, il mio affanno da fumo mi toglie il fiato, all’imbrunire la calura si dissolve e una luna a metà rischiara il cortile del Castello, affollato di visitatori. Assisto all’incontro con Emilio Pasqua dell’azienda Musella produttrice di Amarone della Valpolicella, moderato da Fabio Turchetti del Messaggero di Roma e Fede e Tinto di Radio 2 Decanter. Si confrontano l’Amarone e l’Aglianico, Pasqua vedrebbe il ruvido vino del Vulture ammorbidito da un pò di merlot, gli risponde Luigi Cremona a difesa dell’autoctonicità e dell’unicità dell’uva e del territorio.Mentre aspetto di entrare nella Sala del Trono dove si terrà la degustazione di Amarone e Aglianico del Vulture in abbinamento ai formaggi Monte Veronese e Pecorino di Filiano, incontro e mi presento al Delegato Daniele Scapicchio, che gentilmente mi accompagnerà, dopo la degustazione, in giro per gli stand. Mi seggo al mio posto, la sala è piena, conduce Roger Sesto di Food & Beverage, Civiltà del Bere. Una sorpresa, il Monte Veronese, toma d’alpeggio a latte vaccino, per un errore di spedizione, non c’è. Càpita. Ce lo racconta Luigi Cremona, suggerendo che la grande potenza alcolica e lunghezza olfattiva dell’Amarone si sposa con i profumi d’alpeggio di fiori ed erbe di montagna. Invece il Pecorino di Filiano c’è, e lo assaggiamo con i vini. Purtroppo il taglio del formaggio è a dadini, e quindi non consente la corretta degustazione. Si tratta di un formaggio a latte crudo, con profumi di burro fuso, fieno, aroma di arachidi tostate, prodotto sul Monte Vulture. Questo in assaggio, dell’azienda Caggiano, ha una stagionatura di 8 mesi, una netta variazione di colore nel sottocrosta, si può stagionare al massimo 12 mesi. Il nome Filiano deriva dal “filare” la lana di pecora, attività svolta dalle donne, tipica della zona di produzione dei pecorini lungo la dorsale appenninica. E veniamo ai vini. Il primo è Masqito 2004 di Colli Cerentino, 13,5% dichiarati, l’etichetta riproduce i vigneti alle pendici del Vulture in Contrada Cerentino a 550 m. Si tratta di vigne vecchie 60-80 anni con una resa bassissima di 28-30 q.li. Vino di punta dell’azienda, più moderno come approccio, viene elevato in barrique nuove di rovere francese a diverso grado di tostatura, il grado alcolico reale è di 13,7-13,8%. Sentori vellutati al naso, fragrante di lamponi, amarene, prugna, tabacco macerato, cacao amaro, la nota alcolica di smalto, in bocca vivacità spinta, tannini morbidi, ritorna la ciliegia e il lampone, armonico. Il secondo è Eleano 2003, 14%, dal vigneto di Pian dell’Altare dell’azienda Eleano, più tradizionale, da botte grande. La 2003, annata rischiosa, è stata affinata 4 anni. La partenza da un’aglianico scorbutico con acidità elevata, tannino pronunciato da attenuare, 48,8 g/l di estratto, 7,6 di acidità fissa, la botte grande cede poco a poco il legno durante gli anni di invecchiamento, a rendere il vino elegante e longevo. La componente fruttata è minore, si avverte una nota balsamica, speziata, eterea, acidità minore, più caldo, più pronto in equilibrio e bevibilità. Il terzo vino è Amarone della Valpolicella classico 2004, 15%, azienda Santa Sofia, casa storica. In Veneto l’Amarone era definito “recioto scapà”, perchè fermentato oltre misura e diventato secco. Veniva bevuto a fine pasto, poi si è reso più adatto alla tavola. Questo che assaggiamo ha l’uvaggio di Corvina 70%, Rondinella 25%, Molinara 5%, fa 3 anni di botte grande, ha sentori fruttati dolci al naso, di cipria, di confettura, profumo mentolato. Morbidissimo ed avvolgente, tannini presenti e equilibrati dal legno grande, un Amarone classico ed elegante, buono adesso e da bere nell’arco di 5-7 anni. Conclusa la degustazione, vado in giro con Daniele, ci fermiamo allo stand di Terre dei Re, mi propongono il Nocte, da vendemmia notturna, anche loro la fanno, quest’anno la data è il 18 ottobre. Poi il Pacus, un uvaggio di aglianico e pinot nero, in Vulture? una scommessa, vigne a 750 m slm. Chiedo di assaggiare lo spumante, Roseus, un brut metodo charmat da aglianico, e per finire il Divinus, da viti di 40 anni. Nessun bianco? Si, il Claris, Fiano di Avellino Docg vinificato a S. Potito Ultra, mi sento di casa. Proseguo, l’azienda Eleano vuol farmi provare anche il loro secondo vino, il Dioniso, prodotto da vigne più giovani in territorio migliore, tra Rionero e Ripacandida, dell’Eleano di Pian dell’Altare, sicuramente più giovane, tannino pronunciato, buona acidità. L’azienda Carbone di Melfi mi propone 400 Some (nome buffo, deriva da una lettera di Costanza d’Altavilla ritrovata negli archivi in cui la nobildonna chiedeva 400 some di vino ogni anno per la cantina, ricorda anche l’etimo della parola sommelier), aglianico in purezza, barrique di 2° passaggio, buona l’acidità. E poi lo Stupor Mundi, naso più profondo, minore acidità, più tannico, lungo finale di bocca, longevo. Bene, nel frattempo si è fatto tardi, saluto e vado in albergo, accompagnata dalle note in sottofondo di musica popolare salentina degli Ariacorte, il nome dello spettacolo? Taranzando…..
La mattina dopo un giro ai laghi di Monticchio, dominati dall’Abbazia di San Michele, una raccomandazione al santo onomastico mi sembra d’uopo. E poi Venosa, città di Orazio, a ricordarmi che il “carpe diem” lo applico poco…. A proposito di filosofia, percorrendo le strade di una terra arsa, brulla, notavo i vigneti: anche l’aridità può dare buoni frutti! Nel pomeriggio ritono a Melfi, c’è una gelateria, il gelato è buono, ma niente a che vedere con quelli di Aiello….Ancora un paio di giri, saluto e ringrazio, comincia a far buio, vorrei rientrare “prima dell’alba”. Grazie, Ais Napoli, per avermi “inviata”.
Una considerazione personalissima, lasciatemela dire. Ognuno di noi è dotato della giusta sensibilità per capire quello che accade nella propria vita con gli occhi ben aperti sulla realtà. I suggerimenti, le chiacchiere, le deduzioni e le interpretazioni lasciano il posto a convinzioni particolari che deviano dal senso più ampio della verità. Entusiasmo, disponibilità, sintonia sono doti insostituibili per chiunque voglia vivere positivo. E vi voglio bene, indistintamente, come una grande famiglia allargata.