Di Michela Guadagno
Stavolta non criticate l’eccessiva lungaggine, lo premetto, se volete potete leggerlo a puntate…Stavolta ci inchiniamo davanti al mito: il Professore Luigi Moio e la tenuta Quintodecimo. Che succede se un giorno di fine settembre si varca il cancello dell’azienda e la soglia di casa della scienza enologica? Che emozioni si provano ad entrare nello studio dell’uomo che ha portato il vino campano e non solo a livelli altissimi ed è il modello per generazioni di enologi? Lo studioso che il mondo ci invidia, che ha rinunciato alle cattedre offertegli dalle prestigiose Università francesi e italiane per rimanere in Campania, a fare il “suo” vino e quello di tanti altri amici che lo rispettano e lo seguono, come lui stesso racconta, pronunciando la frase che più di ogni altra lo rende ai miei occhi ancor più leggenda: “Prediligo i rapporti umani nelle mie scelte“, mi aspetta ai piedi della sua vigna con il cane Chablis. Come sono arrivata fin qui? Facciamo qualche passo indietro: è da tempo che Laura Di Marzio mi ha invitata ad andarli a trovare a Mirabella Eclano, per varie circostanze e impegni loro e anche per una certa soggezione mia, la visita veniva rimandata. Poi l’occasione giusta in qualche modo arriva, il 27 settembre un seminario di aggiornamento ad Avellino mi offre lo spunto per chiamarla: “posso venire la mattina di sabato, sono con altri colleghi, va bene per voi?” Sicuramente sì. E così parto per Quintodecimo, Laura mi spiega la strada per arrivare, Tommaso Luongo con Paride Cimbalo e Marco Starace mi raggiungono più tardi. La macchina ha un sussulto, o sono io, quando alla sommità di una collinetta si offre al mio sguardo la vista del vigneto e della casa. Telefono a Paride: “prepara la macchina fotografica, qua è stupendo”, la valle del vino, un vigneto perpendicolare alla strada e un altro parallelo, come a incrociarsi, con i filari a salire fin sotto la casa. La strada circonda l’azienda, il cancello si apre ed eccomi qua, incantata come Alice nel paese delle meraviglie. L’ospitalità calorosa, la spontaneità e l’affettuosità sciolgono la mia obnubilazione, Laura mi accoglie in casa e mi offre un caffè, mentre Luigi torna in cantina, sta vinificando la falanghina. Nell’attesa che arrivino gli altri mi mostra il Bed & Wine, la “locanda” come lei la chiama, tre camere arredate con gusto per i particolari, dedicate alle tre tipologie di vino, semplicemente la camera dei bianchi, la camera dei rossi e la camera dei vini dolci. E poi il loro appartamento, e lo studio: vi assicuro che entrare nel regno del mito vivente è qualcosa di curioso, di emozionante e di commovente tutto insieme, questa è la stanza dei bottoni dove nasce l’arte di fare il vino, libri, giornali e riviste, targhe, premi, cappelli e chitarre, una collezione di automobiline, dettagli che aiutano a comprendere la creatività di un signore speciale. Scendiamo, gli altri sono arrivati, fatti i convenevoli, Luigi ci immerge in quella che si può definire una lezione impagabile su questa azienda e la sua storia, mi accorgo che più di una volta restiamo con la bocca aperta ad ascoltarlo per non perdere alcun dettaglio prezioso. La vigna: quella che scende in verticale davanti alla casa, è Vigna Quintodecimo.

Terreno argilloso, le crepe del suolo mi rimandano a nozioni di geologia, i filari esposti a nord est ordinati come le quinte di un palcoscenico, l’uva aglianico che cade verso il basso ad ornare le pareti di foglie come un merletto, le rose a capofilare sentinelle per l’oidio, altri grappoli ormai seccati a terra recisi per il diradamento, scendendo verso valle il terreno cambia natura, è piu scuro, più sciolto, di natura vulcanica. La vigna si incrocia con altri filari, esposti a sud, è Vigna Cerzito, l’altro cru di aglianico. A ricordare gli studi francesi la parcellizzazione è data da diversi portainnesti e cloni di vario tipo, il vivaio di Rauscedo attinge a queste barbatelle, il Taurasi 2004 uscirà in commercio nel 2009 nelle due tipologie di cru, le aspettative non verranno deluse. La cantina: anche qui, precisione ed organizzazione, nulla è lasciato al caso, dieci serbatoi per il rosso e dieci per il bianco, le mattonelle del pavimento riportano queste indicazioni nei rispettivi colori. Si passa alla barricaia: una prima sala con barrique nuove che aspettano i mosti dei bianchi per la fermentazione, e una barrique con la coltura di lieviti in fermentazione, tolto il tappo ascoltiamo il “friccicore” del “lievito madre”. E poi una “cave” come l’ho vista solo in Francia, per la fermentazione e l’invecchiamento dei rossi. Le botti per ora sono vuote, Luigi spiega che la prima sala dei bianchi poi verrà isolata, e il resto della cantina subirà un riscaldamento per favorire il rialzo termico necessario alla fermentazione malolattica in legno. Un corridoio e siamo in quello che diventerà il suo “caveau” con la riserva privata di bottiglie da tutto il mondo, ve l’immaginate?, il meglio d’Italia e Francia e noi vorremmo almeno solo sognare le etichette. Approdiamo a un ponticello di acciaio che sovrasta il laboratorio, ci mostra la macchina per l’imbottigliamento semiautomatico, e ricorda che da piccolo a Mondragone nella cantina del padre Michele armeggiava con i macchinari, ed oggi è il solo che sa smontare e rimontare un serbatoio. Paride gli chiede se i suoi collaboratori dell’azienda, Felice e Antonietta, hanno idea del privilegio di potere lavorare al suo fianco. Del resto è noto a noi tutti che il Professore sa identificare 12 vitigni in 12 bicchieri alla cieca, e ancor di più ci racconta che riesce ad individuare il numero del serbatoio da cui proviene quel bicchiere di vino di una delle aziende dove è consulente. Una scala a chiocciola, e saliamo in una stanza dove casse di legno conservano al riparo della luce per il dovuto riposo le bottiglie del Fiano di Avellino, del Taurasi, del Terra d’Eclano e del Greco di Tufo, il prossimo nato dell’azienda. Infine ci mostra, ancora in lavorazione, la sala per le degustazioni, e finiamo il giro nello studio di Laura. Ma non finisce qui, anche gli altri vogliono vedere il Bed & Wine e il suo studio. E così ci ritroviamo seduti a quattro zampe a srotolare il progetto di un’azienda disegnato da lui stesso a china quando era studente all’Istituto Tecnico Agrario di Avellino, e scopriamo l’artista che dipinge quadri ed etichette dei suoi vini. Infaticabile. Scendiamo al piano di sotto, ci chiede quale vino vogliamo assaggiare, Tommaso senza ritegno dice “posso sceglierli tutti?” e assistiamo a una alta lezione di degustazione: la Falanghina Via del Campo, il Fiano di Avellino Exultet, l’Aglianico Terra d’Eclano, ci sentiamo dei privilegiati. Racconta di come e perchè è nato il nome dell’azienda, che deriva dal toponimo che i Sanniti diedero a Mirabella Eclano perchè distava 15 miglia da Benevento; scopriamo come è nato il progetto grafico delle etichette, disegnato da lui e perchè i 5 pallini a incorniciare la “Q” allineati come a seguire un ellisse, 5 è il numero che si ripete come una cabala; il motto dell’azienda, “merum carmen telluris elatum” ispirato dalle parole del compianto amico Gino Veronelli che intendeva il vino come il canto della terra che sale verso il cielo. Raccogliamo quelle frasi che resteranno impresse nella mia memoria, del genere “Bere il vino pensando al suo autore” e al luogo dove il vino è nato, e difatti assaggiamo il rosso affacciati sulla terrazza davanti alla vigna, e anche “L’uva deve cambiare il meno possibile”, la mano dell’enologo deve intervenire poco in cantina, oppure “I lieviti autoctoni la natura non li conosce” nel senso che la natura non può riconoscere che il lievito presente per esempio sulla falanghina servirà ad innescare la fermentazione di quel mosto, l’uva è stata creata per essere cibo. Ci parla dei bianchi, la Campania è vocata in tal senso, con vini strutturati e longevi da conservare a lungo; ci dice che il nome del Fiano, Exultet, deriva dal rotolo dei salmi che si leggono la notte di Pasqua, e la Falanghina, Via del Campo, è dedicata a De Andrè; una chicca da collezione per chi ha conservato la prima annata del Terra d’Eclano, la 2004, la firma in controetichetta è volutamente illeggibile; ancora Paride gli chiede se avverte la riconoscenza degli altri, studenti, produttori, ricercatori, lui risponde che le sue ricerche e i suoi testi vengono citati e riportati nelle bibliografie come Moio et al. Mentre parla osservo le mani da cui nascono i “tesori” del vino che conosciamo, il tono di voce è pacato come chi è abituato ad essere ascoltato, le sue parole riflettono quell’umiltà che solo i grandi maestri posseggono. Si è fatta ora di andare via, salutiamo e ringraziamo per la lezione gratuita di vita di questa felice coppia di vignaioli in Mirabella Eclano.Al ritorno, verso Avellino, Tommaso stenta a starmi dietro, la mia buattella vola sulle colline irpine, mi sento gratificata dalla giornata trascorsa. Secondo voi, poteva esserci un modo migliore per festeggiare degnamente le mie 46 primavere? Si, c’è, ma, questo, me lo tengo per me.Foto di Paride Cimbalo