Di Franco De Luca

Al n. 4 di Grosvenor Square, proprio nel cuore della città, presso la residenza dell’Ambasciatore Italiano a Londra Giancarlo Aragona (nella foto), la sera del 9 dicembre 2008 non c’è stato il mostro evocato dal titolo ma nientedimeno che la Campania, non tutta ovviamente ma quello che basta per poter mostrare al mondo britannico le prelibatezze enogastronomiche (e non solo) della nostra terra. Un evento organizzato dall’assessorato al Turismo e Beni Culturali della Regione Campania e dall’Ufficio Economia dell’Ambasciata Italiana e che avviene in concomitanza della presentazione londinese del testo “The food and wine guide to Naples and Campania” a cura di Carla Capalbo, giornalista Italiana che nasce a New York e che si forma tra Parigi e Londra. Si tratta di una “guida” tra aziende vinicole, caseifici, oleifici e quant’altro questa terra riesce a offrire. La manifestazione comunque è fortemente indirizzata a mostrare un assaggio delle “tipologie” enogastronomiche della nostra regione a prescindere dalle aziende che hanno fornito i prodotti.
La serata inizia circa alle 18:00 e si apre con il concerto “Music in Naples between 1600 and 1700” del trio “Accordone” composto dai musicisti Marco Beasley, Guido Morini e Rossella Croce. Vengono eseguite, anche con l’ausilio di strumenti dell’epoca quali il clavicembalo, emozionanti melodie Napoletane del XVII secolo, da “Quanno nascette Ninno a Betlemme” a “Lo Guarracino” e tante altre, alcune davvero poco conosciute. La platea è abbastanza eterogenea, una nutrita rappresentanza della comunità Campana del Regno Unito, molti giornalisti locali e diversi importatori di prodotti alimentari. Terminato il concerto, in attesa che venga aperto il buffet, viene servito (al vassoio) l’aperitivo costituito dagli immancabili succhi di frutta, da acqua scozzese e dal nostro Asprinio di Aversa Spumante (I Borboni). L’Asprinio fa davvero il botto! È il vino che colpisce maggiormente, si avvicinano di volta in volta al mio “bancariello” a chiedermi notizie su questo “fentastico proesecchìneo”, arieccoci col prosecchino, il mio incubo! Io posso tranquillamente sostenere una conversazione in inglese, ma non posso parlare dell’alberata, dei pioppi, dei filari a trenta metri, parlerei come Tarzan con Jane, per noi sommelier è importantissimo raccontare anche le “sfumature” di ciò che presentiamo e per far questo c’è bisogno di una padronanza assoluta della lingua, ma la persona che mi era stata affidata come interprete è una stagista italiana che non gradisce molto il ruolo che le viene commissionato e si dilegua nei meandri dell’Ambasciata, non mi resta che chiedere aiuto un po’ in giro… alla fine, la Scuola Napoletana vince e, un po’ da solo, un po’ con la simpatica collaborazione coatta di “volontari” requisiti a volo, riesco a passare le informazioni necessarie che mi erano state richieste: restano di stucco! Colpiti ed impressionati da una così importante tradizione e dal fatto che sia tanto poco conosciuta nonostante la spettacolarità che la caratterizza, ma, soprattutto, emozionati dalla gradevolezza citrina di questo vino, della sua capacità di preparare ed invogliare la bocca al pasto, dei suoi riflessi verdolini e di come questo vitigno sia evidentemente vocato alla spumantizzazione… qualche importatore prendendo nota non riesce a credere che alcune aziende, in annate particolari, lo producano addirittura col metodo Champenois, devo quasi giurarglielo.


Alle 21 o’clock viene aperto il buffet nel salone principale della residenza diplomatica. Una sala elegante e raffinata, perfettamente a metà strada tra il “Liberty” inglese e la sobrietà italiana, caratterizzata da splendidi arazzi posti sulle pareti laterali e da un bellissimo camino in marmo. Lo chef dell’ambasciatore è naturalmente italiano, precisamente di Domodossola e si chiama Giandomenico Iorio, allievo tra l’altro di Gualtiero Marchesi. Un professionista serio e cordiale, con cui si instaura da subito un buon feeling. Giandomenico mi accoglie il giorno prima (8 dicembre), appena giunto a Londra, per effettuare insieme una verifica dei vini e la pianificazione dell’allestimento. La sua gentilezza mi scalda il cuore in una Londra freddissima e, naturalmente, piovosa. Per l’evento Giandomenico si sbizzarrisce preparando pietanze rigorosamente della tradizione partenopea e campana, si passa dai “Paccheri” di Gragnano alla “Mozzarella di bufala Campana Dop”, dalla “Parmigiana di Melanzane” al “Babà”, tutti preparati ovviamente con ingredienti fatti arrivare apposta dall’Italia. A fine serata ho avuto l’onore ed il piacere di assaggiare i suoi manicaretti, direttamente nella cucina, nel suo campo di battaglia, vi assicuro che in questo modo si comprende facilmente la ragione per cui spesso “cucine prestigiose” vengano affidate a cuochi italiani. La mia trincea invece si trova in una sala attigua, nell’anticamera del salone, l’organizzazione non aveva previsto che fossi stato io direttamente a servire i vini, io avrei dovuto limitarmi a presenziare ed, all’occorrenza, fornire qualche informazione a chi si mostrasse interessato, tuttavia, coordinandomi con i responsabili dell’evento, abbiamo preferito che mi occupassi completamente io stesso del beverage, questo sia per essere maggiormente sicuro delle temperature, della mise en place, di eventuali bottiglie da escludere, quanto perché fermamente convinto del fatto che non si può spiegare un vino se non lo si ha davanti, se non lo si versa, se non lo si degusta in prima persona.
Oltre all’Asprinio, gli altri vini che servo sono due bianchi e due rossi: un Greco di Tufo (Feudi di San Gregorio), un Fiano di Avellino (d’Antiche Terre), un Piedirosso di Ischia (Casa D’Ambra) ed un Taurasi 2004 (Feudi di San Gregorio). A parte la sorpresa all’aperitivo riservata ad un prodotto oggettivamente nuovo per una platea internazionale, qui, con queste tipologie, siamo invece al momento delle conferme, si tratta infatti di etichette abbastanza note e diffuse nel mercato anglosassone. Harrods, per esempio, dedica ai vini italiani un discreto spazio con diverse mensole dedicate alla Campania in particolare. È forse inutile precisare adesso che il Taurasi è il vino più richiesto e quello che termina per primo ma questo ce lo potevamo anche aspettare, gli inglesi, così come gli americani, sono attratti da vini maggiormente strutturati, corposi. Essi tendono infatti a valorizzare l’intensità e la complessità del prodotto, la sua persistenza gustativa, e questo in qualche misura può storicamente dipendere anche dalle cucine estremamente grasse e saporite a cui sono abituati. Per queste ragioni è facile raccontare l’Aglianico a chi già lo conosce e lo apprezza. In verità devo dire che non mi aspettavo che l’austerità di questo vitigno, la sua proverbiale durezza, potesse tanto incontrare il gusto delle dame inglesi, le quali quasi mai sono riuscite a vedere il fondo del bicchiere che sostenevano. Molto meno semplice è stato invece spiegare il Piedirosso a questo genere di commensale e stavolta non tanto per la lingua, la vera missione era quella di far comprendere la “ragione di essere” di questo vino, la sua grande duttilità nel panorama degli abbinamenti col cibo, la sua capacità di sostenere piatti non molto strutturati senza prevaricarli. Al termine della serata scopro con piacere che sono finite anche le bottiglie di tale tipologia e questa la ritengo una piccola vittoria personale. Tra tutti, colui che forse ha maggiormente apprezzato “’o per ‘e palumm” è stato proprio il padrone di casa, l’illustre e garbato Ambasciatore Aragona il quale ha gradito la sua anima delicata e profumata, il suo colore rubino limpido e quel che racconta del magico territorio da cui proviene.
I paesi anglosassoni non amano il bianco allo stesso modo dei rossi ed anche questa sera si sono limitati ad assaggiarlo, sia il Greco che il Fiano sono stati apprezzati prevalentemente dagli Italiani (oriundi) presenti alla manifestazione. Le ragioni potrebbero forse ricercarsi nella tipologia di alimentazione anglosassone, come detto per il Piedirosso, oppure nel clima freddo e umido che, in particolare questa sera, invogliava maggiormente a degustare bevande più alcoliche benché i nostri bianchi non siano in questo senso limitati, anzi. In ogni caso, vuoi pure per l’effetto etereo dato il consumo davvero notevole (gli ospiti non si sono risparmiati, probabilmente avevano tutti l’autista ad attenderli), la serata si è conclusa con molte felicitazioni, complimenti sinceri e sentiti che mi sono stati affidati e che devo riportare ai produttori campani. Tuttavia, al di là delle aziende che erano rappresentate, credo che il successo della manifestazione sia dovuto al “gradino” che vi è stato negli ultimi cinque anni per quel che riguarda la “comunicazione”, al lavoro che giorno per giorni tutti gli appartenenti a questo mondo esercitano per promuovere prodotti dotati di una grande qualità che a conti fatti però non gli viene ancora completamente riconosciuta. Alla fine della cerimonia, quando ormai gli invitati erano più o meno andati via, un anziano gentiluomo inglese mi ha detto: “Voi conoscete i nostri whiskies, perché io non conoscevo il vostro Asprinio?”, ho cercato di spiegargli alla meno peggio che c’è una “sensibile” differenza di produzione e che tante persone campane magari non lo conoscono, l’Asprinio, infine che i britannici devono il successo e la diffusione del loro whisky anche alla fillossera ed a quel che ha combinato in europa nel XIX secolo (tiè…), ma in fondo in fondo la domanda del gentiluomo nasconde anche un po’ di amara verità, che cioè per troppi anni siamo stati i principali sabotatori delle nostre stesse immense fortune.
Concludo con questa considerazione un po’ amara il resoconto di una serata molto dolce e ringrazio Marco Starace che mi ha permesso di essere qui a raccontarvi questa storia. Da Londra è tutto, vostro Franco De Luca.