Di Luca Massimo Bolondi

I membri della nobiltà colta e della borghesia illuminata, i letterati e la gente d’avventura, da più di tre secoli considerano indispensabile, almeno una volta nella vita, realizzare un grand tour, vissuto come un passaggio fondamentale nella formazione culturale e sentimentale dell’individuo. Il tour consiste in un viaggio nelle terre e nelle capitali della cultura e del gusto, per esperire vis-à-vis le memorie dei fasti del passato e le tendenze del moderno. Questa experience de vie è un concetto fatto proprio dal neoclassicismo, dall’epoca dei Lumi, dallo spirito romantico e dal vitalismo contemporaneo, tanto che forse non è azzardato proporlo come una delle invarianti del pensiero occidentale moderno, madre dell’apertura dei sensi e dell’intelletto. I mezzi con i quali compiere il grand tour sono quelli propri di ciascuno. Un ozioso ereditiere sceglie, annoiato, un estroso itinerario. Un operoso cittadino devolve le ferie a comporre, anno per anno, un percorso. Colui che è scarso di mezzi ma ricco di spirito rimedia qualche viaggio, aguzza l’ingegno e come Emilio Salgari ricrea la Malesia in soffitta. Siamo in un era democratica, ancorché faticosa. A molti se non proprio a tutti è dato di provare e, se capaci o fortunati, di fare. Adesso prendi questi bei concetti, pensali da sommelier e piantali a Napoli. Che ne nasce?
Ne viene che per capirne seriamente di vino, oltre agli studi e all’andar per cantine fuoriporta, necessita muovere le chiappe e andare a mettere il naso (più l’occhio e la lingua e le dita e il resto) nelle realtà vitivinicole del mondo. Ne viene che come ti svegli al mattino ti conviene spalancare i cinque e più sensi, farti volenteroso e cogliere le occasioni di apertura che ti si presentano per andare nei territori propizi e per beccare al volo quanto dai territori viene a te, sia tu un privilegiato facoltoso , uno spiantato di belle speranze o un comune mortale desideroso di degustazioni e conoscenza. Ne viene che in tempi moderni, di valorizzazione e comunicazione dei suddetti territori, sempre più gli assaggi delle meritevoli terre lontane vengono loro qui da noi a stuzzicarci. La chiamano promozione, marketing e fortuna di essere nati dal lato gaudente del mondo. Un esempio? La tappa gragnanese del pellegrinaggio campano di (San) Gennaro Iorio, nella cripta della Corte di Bacco, per intercessione di (Dom) Pino Savoia.
Come i migliori esegeti e apostoli, San G. I. è partito esule dalle terre di Francia per un ciclo di predicazioni sul verbo del vino, convertendo alla sua via genti entusiaste toccate dalla rivelazione di un possibile rapporto intimo tra Qualità e prezzo proprio nelle terre ad alta vocazione. Grazie alla sua capacità comunicativa, pacata e seria, e grazie ai miracoli in bottiglia che porta con se, per i discepoli convenuti in cripta l’oeno-tour-de-france è stata una piccola memorabile celebrazione. La cripta, opera del maestro enotecario Alfonso Silvestri, è una sala circolare foderata di tufo vivo con al centro un fonte bottigliare di mescita a dodici cannelle. Sulla cripta si affacciano una cantina climatizzata con eleganti scansie in legno massello e un reliquiario in tufo vivo, opera di ingegneria monastica, da visitare, dove riposano ben protetti i miracoli in bottiglia. Alle luci soffuse di tale scenario i da me benedetti Gennaro e Alfonso hanno officiato la messa in calice di sedici campioni (e raramente il termine mi sembrò più appropriato). Breve descrizione dei suddetti.
Champagne Jacquesson, Cuvée 733 millesimato da annata 2005; dal perlage fine e dai profumi aggraziati come una fanciulla di Dizy in costume tradizionale con ampia gonna a ruota. Aroma di mela renetta e fragranza di boulangerie, note di kiwi maturo tra una pioggia di petali di rosa canina.
Bordeaux blanc, Terra Burdigala 2007, da uvaggio di Semillon e Sauvignon; vivace all’occhio, promette e mantiene la promessa di acidità e minerali: fresco e sapido. Attacco di pisciofelino e frutta fresca, a seguire note di pompelmo e freschezze vegetali, media lunghezza al palato.
Poilly-Fumé la Moynerie 2007, Maison Michel Redde et Fils, da 100% Sauvignon blanc; si muove lento e maestoso nel calice, brilla, profuma di pompelmo rosa e tufo, attacca la bocca fresco e gagliardo accompagnato da note fruttate d’agrumi, dal finale breve, un fuoco d’artificio che stupisce in un lampo.
Sancerre, Henri Bourgeois La Vigne Blanche 2008, da 100% Sauvignon blanc; l’altro spirito della Loira, si presenta con le movenze di una signora in mise de soir e dallo sguardo vivace, al naso fiori d’acacia sparsi sulla roccia, al palato il frutto pieno segue un’acidità vigorosa e composta, profumi e aromi d’alto lignaggio, esprime bene il terroir, finale lungo e convincente.
Duttenberg Riesling, Domaine Gresser 2006, nato ad Andlau, Alsazia; da viticoltura biodinamica di ceppi trentennali, fruttato con lievi note varietali di idrocarburi, accompagna il fumé in tavola come pochi altri, dolce tocco aromatico e buona persistenza, esempio di enologia che fa l’amore con la geologia.
Vermentino, Terre dei Doria 2007, figlio legittimo della Riviera Ligure di Ponente e battezzato da San G. I., strutturato, fresco e sapido, dal frutto varietale ben percepibile, una sensazione di sobrietà elegante.
Chablis, Domaine Bernard Defaix 2007, da 100% Chardonnay, fermentazione lenta e fresca più 12 mesi sui lieviti e rimontaggi anaerobici per un vino strutturato e rotondo sin da giovane; vivace nel calice, un bouquet floreale posato sulla pietra focaia, freschezza marcata e aromi primaverili, discreta persistenza.
Bourgogne blanc, Chassagne Montrachet 2007 Domaine Amiot et Fils, dalle vigne settantenni della Cote de Beaune; una potenza già allo sguardo, tondo, corposo, un concerto di tostature e spezie accompagnano il fior di ginestra, morbido e caldo in bocca con note burrose, bevi e pensi a un nudo di Renoir.
Cote de Provence, Petale de Rose 2008 di Régine Sumeire, uvaggio di Grenache con Cinsault e Mourvèdre; color coulotte di seta, immediato, fragrante, delicato al naso e al palato, con un lieve residuo zuccherino da mandare le signore in sollucchero.
Rossese rosé, Rosése 2007 di Terre dei Doria; una scoperta, assoluta novità, vinificazione a ispirazione provenzale, offre complessità inusuale per un rosato, a conferma che con sempre maggior chiarezza si definisce una classe organolettica a se stante, del tutto autonoma da bianchi e rossi. Un progetto di G. I. a evoluzione tutta da seguire.
Cotes du Rhone, Rasteau Villages 2005 Domaine De Beaurenard; dal terroir di argille blu dell’alta Provenza un uvaggio di Grenache e Syrah, limpido e vivace allo sguardo, muove con brio nel calice, profuma di lampone e spezie dolci, ampio e rotondo anche al palato, corpo alcolico atletico con tannini nobili, note di humus e felce, sentori balsamici e di glicine in finale, persistente. E un rapporto qualità-prezzo da mandarlo a ruba.
Crozes-Hermitage, Domaine Combier 2006, da agricoltura biologica, un tipico Syrah 100% dal volto scuro e serio, offre un panorama gusto-olfattivo che spazia dal ribes al mirtillo, allo smalto, alla polvere di caffé, etereo e officinale soprattutto al palato, racconta del fondo ciottoloso della vigna, di una lunga macerazione e dell’affinamento in legno nuovo.
Rossese di Dolceacqua Superiore, Terre dei Doria 2007; vigne vecchie su terrazzamenti murati a secco per un rosso dallo spiccato carattere varietale, morbido e dolce, rivela note decise di rose american beauty sia nella versione in bottiglia sia in quella, straordinaria, da decanter. Una scoperta.
E come alle nozze di Caanan gli ospiti sorpresi e ammirati trovano nel calice il meglio alla fine della lunga libagione e non, come si suole, al principio…
Bordeaux, Saint-Emilion Gran Cru Classé 2001, Chateau Laroche; 87% Merlot, 11% Cabernet Franc, 2% Cabernet Sauvignon. E, in immediata successione…
Bourgogne, Gevrey-Chambertin 2006, Dupont Tisserandot; 100% Pinot Noir.
Come nella corrida, il toro bordolese nero potente caldo, dalle spalle ampie e rotonde, giostra col torero asciutto nervoso ed elegante della Cote de Nuit. Che sfida, con gli aromi che si inseguono lungamente dopo l’assaggio e noi platea dello spettacolo dentro di noi, se le papille potessero applaudirebbero. Con ancora in corpo quei sedici campioni, se la stradale mi avesse fermato lungo la via di casa sono certo che il mio alito avrebbe potuto convertire alla fede enoica il maresciallo, che avrebbe conservato il palloncino per fiutarselo di nascosto di tanto in tanto. Eppure si era tutti estasiati ma ancor sobri. Miracoli della qualità.

Foto: Franceinlondon.com