Di Luigi Orlando

L’Andalusia è terra che affascina al primo contatto.

Lasciata Siviglia e lo stile arabo di strade e palazzi, veleggio verso Cadice, città più antica d’Europa, e le dorate spiagge della Costa de la Luz, una striscia di dune sormontate dai palmizi accanto all’oceano, che si stende dal confine portoghese fino all’estremità europea più vicina all’Africa, quella Tarifa città spartiacque tra Atlantico e Mediterraneo, che dei due continenti fonde aromi e tradizioni culinarie.

Da Chiclana de la Frontera raggiungo la costa e la Playa la Barrosa chiusa a nord dall’isola di Sancti Petri e dal suo bianco castello e dalla Torre del Porco a sud, punto d’avvistamento delle antiche navi corsare che minacciavano queste coste.

Una casa sulla spiaggia è la base d’appoggio ideale per esplorare la zona.

L’area collinare interna è disseminata di pale eoliche che attirano lo sguardo suggerendo i controsensi dell’ambientalismo.

La mia immancabile guida in terra iberica, Laura Nuñez Pons, racconta la metamorfosi che ha interessato i paesaggi stradali spagnoli attraverso l’eliminazione dei pannelli pubblicitari accanto alla carreggiata. Gli unici ammessi sono i simboli nazionali distintivi: la sagoma del toro e la figura della bottiglia vestita di sherry fino Tio Pepe dell’azienda Gonzaléz Byass, icona universale di questo vino.

Scopro di dormire a pochi chilometri da un triangolo geografico letale per un appassionato di eno-gastronomia tanto quanto il triangolo delle Bermuda per i marinai.

Jerez de la Frontera, El Puerto de Santa Maria e Sanlucar de Barrameda sono le città dove si concentra la produzione del vino liquoroso Sherry con bodegas alternate a case e palazzi, che dietro alte mura e cortili immersi nella vegetazione celano i magazzini in cui matura il prezioso nettare.

Qualche assaggio in alcuni bar de tapas permette di farsi un’idea complessiva dello sherry nelle sue differenti tipologie: in successione Fino e Manzanilla, Ammontillado e Oloroso, coronando con un gran Pedro Ximénez magari anticipato da un Cream Sherry o da un Pale Cream. Ogni prodotto ha la sua personalità e abbinamento favorevole con alcuni piatti locali.

Le peculiarità gustative sono evidenti e dipendono nei primi quattro casi dalla differente gradazione alcolica e dalle maturazioni diverse del vino base, ottenuto da uve palomino e arricchito di alcol.

Differente è il Pedro Ximénez ottenuto da vino base di uva omonima. Ciascuna bodega sceglie con cura i fornitori del vino addizionato d’alcool al fine di garantire uniformità produttiva.

Ci s’innamora in breve dello sherry e della sua terra, sorseggiando dai piccoli bicchieri usuali in zona pacati sorsi per accompagnare le tapas di pesce: lo squalo marinato in limone con cumino e paprika successivamente fritto, le cozze ripiene con un impasto a base di besciamella corpi sminuzzati del mollusco prezzemolo e pepe, i gamberi atlantici in tante forme ma soprattutto crudi con una manciata di sale marino grosso, e la tortilla de camarones a base di un impasto liquido con farina acqua prezzemolo cipolla e minuscoli gamberetti fluviali, nonché tante altre che la memoria tralascia.

La curiosità di visitare una bodega sorge spontanea dopo qualche bottiglia, sorseggiata tendendo l’orecchio ai vicoli con la speranza di udire un lontano ritmo flamenco suonato da zingari in strada: siamo nella terra in cui questo genere musicale, dichiarato Patrimonio Culturale Immateriale dell’Umanità dal 2010, è nato e ha avuto i suoi massimi esponenti.

Qualche giro di telefonate conferma la necessità di pianificare i propri viaggi: le bodegas più note richiedono una prenotazione anticipata per le visite e un numero consistente di visitatori.

La speranza ci conduce a Sanlucar de Barrameda dove in calle Trasbolsa 84 ci apre le porte di uno splendido patio alberato Fernando Valencia Robles dell’azienda Pedro Romero, l’unica che in questo caldo giovedì di marzo dimentica le prenotazioni e ci concede alcune ore di tempo per un viaggio tra le cataste di botti in cui matura il vino. Dischiusa un’enorme porta si accede alla cantina. Terra battuta al suolo, alto il soffitto immerso nel buio e sparute finestre velate da stuoie scure; sul muro un geco guarda silenzioso mentre agli occhi si apre lo spettacolo d’immense file di botti odorose. Il profumo è intenso, di legno stagionato e di muffa di cui le botti sono coperte, che si mesce a quello più morbido del vino in maturazione. Fernando spiega che in quel magazzino esposto al vento e all’umidità oceanica matura la manzanilla in botti che hanno numerosi decenni. Il suolo è in terra battuta affinché mantenga l’umidità somministrata con un innaffiamento estivo della cantina; il geco protegge dagli insetti evitando l’uso di insetticidi; la muffa è causata dall’umidità ed è funzionale al vino. 

Finalmente mi viene svelata la differenza tra fino e manzanilla: nella manzanilla il flor, strato di lieviti di origine varietale sulla superficie del vino in maturazione, è più consistente per via del microclima della città oceanica, che sorge dove il Guadalquivir sposa l’oceano a due passi dal Parco Nazionale di Doñana. Solo a Sanlucar matura la manzanilla e la raffinatezza dei suoi aromi che virano dal fiore giallo appassito al fico secco passando per il minerale salmastro in un complesso di eleganza nasale e palatale. Estratto dalla botte prima delle note filtrazioni, il vino dimostra una complessità olfattiva che il successivo imbottigliamento non preserva completamente privandolo di parte del suo valore.

Attraversando la strada si accede alle cantine di maturazione delle altre varietà di sherry (fino escluso: siamo a Sanlucar!) e soprattutto al magico angolo del Pedro Jimenez.

L’aroma in questi magazzini è meno intenso e rivela quanto sia significativa la differente posizione dei locali. Ci viene concesso un assaggio dalle ultime tre botti di Pedro Jimenez Orange aromatizzato all’arancia, superstite degli anni ’80 e delle nefaste mode. Il prodotto è tutt’altro che scontato ed emoziona con una perfetta fusione tra le note tipiche del Pedro Jimenez, che spaziano dalla frutta secca con noce in evidenza al cacao passando per le spezie dolci e la punta amarognola dell’arancia fusa nella morbidezza complessiva. Il Pedro Jimenez 15 years colpisce per la viscosità e per l’alcolicità del 16% perfettamente equilibrata con le altre componenti.

Usciamo emozionati portando con noi qualche bottiglia per successive riflessioni e ci spingiamo al centro verso il bar de tapas Casa Balbino del quale si narra a ragione la bontà delle tortillas de camarones, in assoluto le migliori assaggiate.

Vagabondando nella regione è d’obbligo una sosta a Cadice e a Jerez de la Frontera dove passeggiando una cena in qualche bar è consigliato avventurarsi con un po’ di cautela nel barrio Santiago, culla del flamenco di strada, quello originale e poco turistico.

Costeggiando l’oceano verso sud è bene allungare il viaggio verso Tarifa e gustare qualche piatto dal sapore marocchino nel centro incantevole e ricco di storia della città a cavallo dei mari.

Nelle zone interne raccomando una visita agli innumerevoli pueblos blancos, ricchi di fascino paesaggistico e siti storici.

Ultimo consiglio al viaggiatore goloso di antichi piatti contadini è una sosta con colazione o pranzo a Medina Sidonia, dove alle spalle di resti romani nel ristorante El Castillo si può gustare un crostino con manteca colorà, strutto di maiale con paprica e carne di maiale cotta a lungo con aromi, che risveglierà i palati addormentati dal troppo sherry.