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                        Nel parlare comune, i “bugiardini” sono i foglietti esplicativi presenti nelle confezioni dei farmaci. Probabilmente la gente li chiama così perchè non li legge mai, oppure si limita ad un’occhiata distratta, giusto per conoscere la posologia del farmaco stesso (in parole povere: quando e quanto prenderne). Se infatti le persone leggessero il foglietto da cima a fondo, si accorgerebbero che la frase “provoca reazioni allergiche simili a quelle del morbo di Pott” è preceduta da quella che dichiara “studi clinici hanno dimostrato che in 1 caso su 1 milione”. Perciò, avendo assunto il farmaco senza accusare nessun sintomo strano/inspiegabile/curioso che possa in qualche modo essere riconducibile al misterioso morbo di cui sopra, ne deducono che il foglietto racconta storie. Lo stesso dicasi se, viceversa, pur avendo assunto il medicinale non sono guarite. Nell’un caso e nell’altro, il malefico foglietto è un “bugiardino” – e le case farmaceutiche dei covi di sadici che si divertono a ingannare la gente.

Bene. Anche il variopinto mondo del vino ha i suoi “bugiardini”.
Sono le cosiddette schede tecniche dei vini. Intendiamoci: ce ne sono di perfette, da manuale. Schede tali che, di un vino, non si limitano a dirti da quali uve è tratto e come è stato realizzato, ma ti raccontano anche il paesaggio circostante i vigneti e il numero di sassi contati sotto quei grappoli precisi. La resa per ceppo e quella in vino. Il tipo di allevamento della vite e i trattamenti fitosanitari fatti, e l’epoca di raccolta, e le stelle dell’ultima vendemmia. Schede che ti dicono il ph, l’estratto secco, l’acidità totale, l’alcol, gli zuccheri residui.Per i fanatici della tecnica, una goduria. Per tutti gli altri, mah!.Sennonché, anche la scheda più perfetta e meticolosa nasconde la sua piccola tara: dove?
Nella descrizione organolettica.La quale, o è perfettamente inutile (perchè fa il pari con le inutilissime descrizioni riportate in etichetta come-legge-comanda), oppure è totalmente inventata. Questo perchè in genere queste schede sono scritte dai tecnici di cantina.
Oppure dai responsabili commerciali.
O da quelli dell’ufficio marketing.

Mai da tutti e tre insieme.E le tre categorie – i tecnici, i commerciali e i marketer – com’è noto, non si amano. Nel migliore dei casi, si tollerano. Nel peggiore, si evitano, convinti come sono, ciascuno per suo conto, che l’altro non capisca niente del suo lavoro. Il che, disgraziatamente, è spesso vero.
Risultato?

Di recente un’azienda mi ha presentato un nuovo vino: uno spumante rosè. Chiedo di parlare con l’enologo: “Tu l’hai fatto, prova a descrivermi questo spumante“. L’enologo, giovane e sveglio, mi parla di profumi lievemente aromatici, che ricordano la rosa, ma con una punta di agrumi. Sapore morbido e avvolgente, lungo, floreale.Prendo in mano la scheda tecnica, scritta dal responsabile marketing: alla voce “profumi” parla di “frutta rossa con note di sottobosco” (funghi? Muschio? Felce?). Alla voce sapore: “secco, sapido e fruttato“. Stiamo parlando di un altro vino? No. Di un’altra annata, magari? Nemmeno, è un prodotto nuovo.Il fatto è che il responsabile marketing, in genere, non assaggia il vino. Lui/lei deve solo aiutare la forza commerciale a venderlo. E per far questo usa tutto il vocabolario di cui può disporre, ricorrendo agli aggettivi più trendy e alle descrizioni più convincenti. Anche a costo di “colorire” un po’ la realtà, infilando nell’uvaggio uve che non ci sono – meglio un pinot nero di un pinot bianco, no? tanto, chi se ne accorge? – o ricorrendo a lavorazioni fantasiose (“invecchiato in vasi d’acciaio”).Dal canto suo, nemmeno l’enologo assaggia il vino per trovarci punti di forza markettizzabili (orribile neologismo che rende l’idea), ma solo per controllare che non abbia problemi e/o difetti.

Morale: meglio lasciar perdere le schede tecniche. A meno che, dopo aver assaggiato il vino, non si voglia farci sopra una risata.

Elisabetta Tosi

Fonte: Vino Pigro