Di Fabio Cimmino
a>Cantina Giardino si presenta come un “progetto eno-culturale”. Vorresti spiegarci, brevemente, che cosa si intende per progetto “eno-culturale” e soprattutto da dove e come nasce questo progetto?

Il progetto eno-culturale si basa sulla creazione di grandi vini di terroir, devo quindi premettere che alla base di tutto c’è il fatto di lavorare su zone vocate. Il terroir ideale ha a che fare con quattro fattori: clima temperato, geologia e dunque presenza del calcare nella roccia madre, topografia (le colline oppure i terrazzamenti ben esposti), suolo biologicamente vivo.Bisogna smetterla ed in questo mi rivolgo agli enologi, di convincere i vignaioli che la tecnica può rimediare al terroir.Premesso questo, il punto fondamentale di questo progetto è la vinificazione di vigne vecchie, dai 60/100 anni per i rossi ai 40/80 anni per i bianchi. Sono convinto che solo la vinificazione di quelle uve possa essere attualmente la massima espressione del terroir. Basti pensare che una vigna di 80 anni, ad esempio, ha un apparato radicale che scende con la sua tortuosità fino alla roccia madre; la linfa che nutrirà quei grappoli attraverserà ogni strato del suolo, fattore indispensabile per parlare in seguito della complessità dei vini di terroir.
L’idea del progetto è nata insieme a degli amici con cui ho sempre fatto il vino per noi e le nostre famiglie e lo facevamo come oggi per Cantina Giardino. A quei tempi per vivere lavoravo come enologo e non ero soddisfatto. Ho visto estirpare vigne che si trovavano nel massimo splendore e vigore perché le rese non erano soddisfacenti, ho visto correggere in cantina qualsiasi difetto che per me non era tale, non ne potevo più. Ne ho parlato con i miei amici e il loro entusiasmo mi ha incoraggiato, nel 2003 è nata Cantina Giardino. Abbiamo presto scoperto che non eravamo i soli ad aver capito che questo modo di lavorare è l’unico che possa dare una continuità alla viticoltura e all’agricoltura in genere. Abbiamo viaggiato moltissimo, ci siamo fatti conoscere, abbiamo osservato altre realtà come la nostra, siamo cresciuti e con sempre maggiore convinzione continuiamo così.

Oggi si sente parlare sempre più spesso ma anche confusamente di vini biologici, vini biodinamici e vini naturali. Potresti aiutarci a chiarire questo argomento e soprattutto quali sono le tue idee in proposito?

Sì, direi che nel mondo del vino si fa un gran parlare e questo ha generato tanta confusione. Comincerei dai vini che provengono da un’agricoltura biodinamica. Lavorare in biodinamica non significa semplicemente adottare uno stile di coltivazione è una vera e propria filosofia di vita, l’antroposofia è una scienza spirituale. I veri biodinamici non ignorano mai le interazioni che avvengono tra corpo, anima e spirito ed io stimo moltissimo chi ha questa vocazione perché appunto bisogna averla per poterla sposare. Il biodinamico puro non ha bisogno di un disciplinare di condotta in cantina ma gli farebbe comodo che ci fosse, in modo tale da ripulire il mercato da chi ora ne vuole fare una scelta di marketing. Oggi alcuni enologi propongono nel loro pacchetto di consulenze anche quelle specifiche per aziende biodinamiche, non sanno evidentemente neanche di cosa stanno parlando. I vini prodotti da un’agricoltura biologica danno delle garanzie sulle quantità e il tipo di sostanze da utilizzare e non in vigneto, ma hanno la carenza di dimenticare il suolo e per la vinificazione non esistono norme. Di conseguenza il termine vini biologici è sbagliato. Non mi fraintendete, come per ogni azienda di qualsiasi natura dipende dal produttore e sicuramente chi è biologico potenzialmente dovrebbe essere una persona più sensibile al rispetto della natura, io ovviamente mi baso sulla conoscenza della persona e sull’autocertificazione delle lavorazioni in cantina. I vini naturali, questa è la categoria nella quale si trova Cantina Giardino, sono quelli prodotti da persone che hanno messo al primo posto un’agronomia a favore del gusto. Non sono legati a decaloghi o a filosofie che certificano la sanità del prodotto senza preoccuparsi del sapore, ma alla concreta necessità di produrre “cose buone” dal punto di vista olfattivo-gustativo. Questo è possibile solo se non si vanno a rompere quei complessi rapporti che esistono tra il clima, il suolo, gli organismi del suolo, le piante, gli animali e l’uomo. Tutto ciò non può essere racchiuso in una ideologia.

Siete l’unica azienda campana che, in tempi non sospetti, già prendeva parte alle cosìddette manifestazioni alternative al Vinitaly. Mi riferisco a Villa Favorita ma anche al “Critical Wine” di Veronelli ed a “Vini di Vignaioli”, la bellissima manifestazione che Christine Cogez organizza, ogni anno, in quel di Fornovo di Taro. Secondo te perchè questa scarsa sensibilità da parte dei produttori campani e soprattutto cosa rispondi a chi ritiene che questo tipo di eventi abbiano contribuito in qualche modo a ghettizzare ed isolare i produttori legati al fenomeno dei “vini naturali”.
Come ho già detto il lavorare in un certo modo ci ha fatti entrare in maniera naturale in certi ambienti. Se dovessi ripensare a com’è avvenuto il nostro percorso devo rifarmi a quello che è stato uno degli incontri più emozionanti della mia vita, quello con Veronelli. Il progetto enoculturale gli era piaciuto, ci ha incoraggiato, ha scritto di noi e questa è forse stata la fase più poetica del nostro cammino. Dai Critical è arrivato l’incontro con Christine Cogez e in seguito con Agiolino Maule. “Vini di Vignaioli” e “Villa favorita” sono oggi fra gli eventi più belli del mondo del vino, centrati per noi su un elemento basilare che è lo scambio tra produttori. Le informazioni preziose a cui si ha accesso, le amicizie nate con personaggi incredibili sono tutti momenti che vanno al di là della parte commerciale. Non la vedo una ghettizzazione questa ma un modo intelligente per indicare al consumatore che lo desidera, la strada giusta per assaggiare dei vini che non sanno cosa siano i lieviti selezionati, nei quali si utilizza pochissima o nessuna quantità di soforosa, a cui non è aggiunto niente. Riguardo alla scarsa presenza di produttori campani non so che dire, forse questo è anche uno dei motivi per cui seguo poche aziende campane. Io sono il consulente di persone che accettano e che vogliono produrre vini con un’agricoltura rispettosa delle leggi della vita. La mia è dunque una chiusura totale, preferisco guadagnare meno e fare quello che veramente mi piace, basta con queste ondate di vini giovani, incompiuti, ricchi di profumi solari, di frutta rossa, di fiori, vini che muoiono prematuramente senza conoscere il vigore dell’età, vini imbalsamati in bottiglia che con l’ossigenazione invece di sprigionare la loro vitalità muoiono ad ogni sciarbottamento.

Ed il consumatore? Quali sono le reazioni di fronte a vini così “diversi”: nei colori, nei profumi, nei sapori…
Ad essere sincero mi è capitato più spesso che il consumatore si sia emozionato. Io non credo che i vini che abbiano complessità e un’eleganza e che con l’invecchiamento tirano fuori quel gusto di terra, di tartufi, di funghi, di sottobosco, di foglie morte, di selce, di sassi e quella mineralità caratteristica di ogni singolo terroir possano essere definiti “diversi”. L’AIS Napoli è l’unica ad avermi invitato due volte a parlare sui vini naturali e credo che non si fermerà qui visto le reazioni che ci sono state. Si ha voglia di ritrovare nella degustazione quel profondo godimento di un vino di terroir. Mi permetto dunque di consigliare agli appassionati che vanno al VinItaly di fare una tappa anche a Villa Favorita oppure di andare nel mese di novembre a Fornovo Taro per Vini di Vignaioli.

Quanto è difficile, oggi, per un giovane enologo, come te, potersi affermare in un mondo del vino ancora dominato e condizionato enormemente dalle multinazionali della chimica. Come vivi il confronto con la “vecchia scuola” considerato il tuo approccio completamente “sovversivo” e “non interventista”, diametralmente opposto rispetto alle pratiche enologiche convenzionali ancora fortemente invasive (in cantina) e inquinanti (in campagna).

Quando siamo partiti con questi discorsi in Italia eravamo poco più di 30 produttori ed oggi siamo oltre 400 e si sono aggiunte anche aziende famose nate all’inizio del secolo. Come ho già detto si ha voglia di fare qualche passo indietro.

Oltre che con Cantina Giardino, so che sei impegnato come consulente-enologo anche in altre cantine, posso chiederti quali, in quali zone, con quali vitigni e vini ?

Tutte le aziende che io seguo rientrano nel mio progetto enoculturale quindi i vignaioli con cui collaboro accettano e soprattutto vogliono seguire una conduzione naturale.Uno dei progetti di cui sono particolarmente orgoglioso poiché l’ho visto nascere è l’Azienda Vitivinicola di Cristiano Guttarolo con cui si è fatto un lavoro di valorizzazione del primitivo di Gioia del Colle, che è la zona originaria del vitigno, ottenendo dei grandi vini che già dalla prima annata hanno avuto importanti riconoscimenti. Un’altra realtà molto interessante è l’azienda Il Cancelliere di Montemarano. Dal primo momento si è creata un rapporto di complicità e fiducia con il vignaiolo Soccorso Romano e sono certo che la sua azienda diventerà un punto di riferimento per il territorio. Da poco seguo un’altra azienda campana, Crapareccia di Tommaso Mastroianni , con cui lavoriamo il Pallagrello e il Casavecchia.
Nel Vulture collaboro con l’Azienda Agricola Camerlengo di Antonio Cascarano, dove stiamo impiantando i nuovi vigneti con marze provenienti da vigne vecchie di Aglianico che ci assicurano una biodiversità. Oltre a queste reltà che rientrano nel mio progetto enoculturale sono il consigliere di alcuni amici vignaioli conosciuti durante i miei viaggi.

Penso sia venuto, adesso, il momento di presentarci la tua produzione ed il vino che andremo a degustare.

Ognuno dei nostri 7 vini proviene da un singolo vigneto per cui parlerò solo del T’ara ra’.Si tratta di un greco proveniente da Tufo, contrada San Paolo, zona Cicogna.La vigna ha 40 anni d’età e la forma di allevamento è la raggiera tradizionale-avellinese.
La vendemmia è stata fatta il 16 ottobre 2006 con raccolta manuale e selezione rigorosa dei grappoli.Il 60% delle uve è stato pigiadiraspato e la restante parte pigiata. Macerazione e fermentazione con lieviti naturali sulle bucce per 7 giorni in tino tronco-conico aperto da 27 Hl. Pressatura manuale con torchio di legno. Affinamento per un anno sui lieviti fini e 6 mesi di bottiglia. Nessuna chiarifica e nessuna filtrazione.
La solforosa è stata aggiunta solo in fase di fermentazione.