Di Tommaso Luongo

Verrebbe da dire ”Simposiarchi vicini e lontani giù il cappello, questo qui è un gran vino, punto e a capo! “ Ma andiamo per gradi, partiamo dal colore…
Fin dalla vista colpisce per uno smagliante oro zecchino dai radiosi riflessi che illuminano il cristallo del bicchiere. Straripante è la ricchezza aromatica della finissima trama olfattiva: prima esplodono le note fruttate di albicocca, ananas e pesca gialla; poi è il turno della cannella accompagnata da incenso e miele d’acacia. Intensi e continui sono i profumi che giocano con le nostre narici, nascondendosi uno dietro l’altro: diventa estremamente piacevole immergere il naso nel bicchiere e verificare come il ventaglio aromatico si dispieghi ad ogni olfazione, disegnando una complessità di rara definizione che chiude con un tocco soffuso di crema inglese dal quale emerge con chiara precisione il baccello di vaniglia.
Un corpo estremamente sensuale ed avvolgente, arrotondato da una morbidezza che pervade il palato con un incedere lento e flessuoso sostenuto ad ogni passo da una acidità rimarchevole, che nella dinamica gustativa accompagna il Giovin Re verso l’armonia nonostante l’importante ricchezza in estratti; con il passar del tempo, dopo la deglutizione, dimostra di sapersi vestire anche di sapidità per un interminabile finale di regale eleganza.
Mi lancio, stile “viandante bevitore”, in un abbinamento musicale e mi vien subito da pensare alle evocative atmosfere di Habibi ya nour el di Alabina. Buona danza del ventre…