Di Luca Massimo Bolondi

Amarone-Allegrini non è un ricercato scherzo grammaticale né un connubio di opposti. Le due parole sono i termini della sfida di una famiglia dedita a percorrere, innovandola, la tradizione di uno dei simboli dell’enologia italiana. L’Amarone, il figliol prodigo del rosso da uve passe apprezzato già dai Romani; i veronesi infatti lo chiamarono “Recioto scapà”, quando il vino principe non riusciva e il produttore se lo teneva per consumo familiare. Salvo poi accorgersi della grande potenzialità del “malriuscito” che, forte di alcoli e meno ricco di zuccheri, vinificato con accortezza sprigiona profumi vasti, da panorama d’alta quota. Assunto da meno di un secolo alla dignità di vino da produrre a sé, Amarone sembra destinato a superare papà Recioto nell’evoluzione del gusto moderno dei più verso vini secchi e potenti. Grande vino alla prova di 100 fortunati palati 100, giovedì 9 ottobre, ospiti dell’Accademia Aeronautica in compagnia della lady grape Marilisa Allegrini, “per un grande evento targato Ais Campania” come ci racconta nell’introduzione Tommaso Luongo, delegato Ais Napoli. Il luogo è di rango, la sala vetrata ad emiciclo sembra la grande cabina dei piloti di un velivolo in atterraggio sul Golfo di Pozzuoli e il Comandante Franco Marsiglia aggiunge un fresco umorismo che mette tutti a proprio agio. Donna Marilisa possiede una comunicativa esuberante e presenta senza misteri le terre, le persone e le opere che si incontrano in quel territorio ad est del Lago di Garda, a nord di Verona e al piede dei monti, chiamato Valpolicella. Offre una visione da vicino dei calcari e delle crete che compongono i poderi, delle scelte di impianto intensivo a pergola trentina e della preferenza ai vitigni autoctoni come la corvina e la rondinella, delle tecniche di vendemmia selettiva e di conferimento in cantina senza manipolazione, della vinificazione a partire dalle uve parzialmente appassite (con perdita del 40% del peso originario) e con la tecnica del ripasso (ovvero la rifermentazione del vino giovane sulle bucce ammostate), infine delle battaglie personali e familiari contro i rischi di banalizzazione massificante delle produzioni nella cosiddetta area allargata del disciplinare. Dal lucido, appassionato racconto emerge come proprio i contrasti tra produttori del classico e quelli dell’allargato abbiano sinora di fatto impedito all’Amarone di ottenere la DOCG. Ma cronache di guerre intestine tra areali vocati ai grandi vini il nostro Paese sembra volerne scrivere più d’una…
Ed ecco a noi i fantastici quattro, ovvero gli Amarone 2003, 2000, 1997 e 1995. Nella degustazione le indicazioni di Antonio Del Franco ( Presidente AIS Campania) e di Bruno Scavo (presidente dell’associazione sommelier del Principato di Monaco) offrono le linee guida ai convenuti. In introduzione, Antonio Del Franco dichiara che in questo vino “la forma del profumo è rotonda, perché il profumo ai nostri sensi assume una forma e quello di ogni vino di carattere ne descrive una precisa”. Chiunque abbia studiato psicologia della forma e gestalt drizza le orecchie: un seme è stato posto nel solco.
Per descriverli ricorro a una metafora olimpica.
2003, una dolce maestà lignea, un corpo perfetto, una statua: Venere (Allegrini dichiara questo Amarone un grande esercizio tecnico).
2000, nobiltà dura e asciutta di atleta ancora in corsa: Apollo (aromi potenti e una acidità che promette una lunga evoluzione).
1997, lucida eterea lacca, gloriosa di bellezza austera: Giunone (il frutto del riposo di una buona annata).
1995, bruna sapienza, invito alla meditazione: Minerva (quasi uno sherry con sentori di tabacco).
Ci viene chiesto di dichiarare la nostra preferenza. E sia, per alzata di mano. Ma come in una dinastia, ogni regnante ha un suo stile di stato; improprio stilare una classifica.
Nel rinfresco seguito alla degustazione colgo una piccola perla di Elena Erman: “il piacere è condizionato dalla complicanza” ovvero un grande vino dal carattere complesso chiede una grande cura nell’abbinamento gastronomico. Intorno a noi sempre più forti e numerosi segnali di uno stabile allargamento di prospettive: non necessariamente il calice segue il piatto, è ora che al cospetto dei vini da olimpo il piatto si svolga intorno al calice. Negli occhi del bravo vignaiolo scorgo un lampo di gioia.

Foto: Grecia2005