Questa volta il simposio si svolge in una condizione di maggiore comodità, non è una tavola rotonda ma quadrata (in realtà rettangolare), capeggiata non da Re Artù, Lancillotto e Ginevra bensì da Pino Savoia, Fabrizio Erbaggio e Francesca Martusciello (ovviamente senza riferimenti di nessun tipo), è una sistemazione molto più agevole in cui tutti riescono più o meno a guardarsi, quando una persona prende la parola si riesce a seguirla senza grosse difficoltà, si capiscono bene tutte le parole, e questo non è sempre un vantaggio. Scherzi a parte stiamo bene, un unico grande difetto, la sala ha una illuminazione tale che anche la Falanghina può essere scambiata per un Barolo, siamo andati avanti a naso (ed a gusto).

Parto subito col descrivere la prima cosa che più mi ha colpito… i primi due vini sono stati un Franciacorta Cabochon 2003 Monterossa ed uno Champagne Aubry Premiere Crù Rosè, ebbene, senza falsa modestia, tutti noi abbiamo, chi più chi meno, riconosciuto subito che nei calici fosse presente sia lo Chardonnay che il Pinot nero, l’unico errore “di massa” è stato l’inversione del francese con l’italiano e viceversa, vengo allora alla considerazione che nelle degustazioni alla cieca sempre più frequentemente finiamo per confondere le due scuole, allora delle due una: o siamo una banda di ciucci (cosa comunque significativamente probabile) oppure i due prodotti, quando si esprimono a grandi livelli, non sono poi così differenti fra loro, manifesto questa considerazione a Fabrizio Erbaggio che incredibilmente è d’accordo, ora o non ha capito o non mi ha riconosciuto nel buio. Vuoi vedere cioè che tutto sommato, tolte quelle 4-5 etichette francesi che non lasciano possibilità di confronto, siamo più o meno lì? Il simposio è bello perché apre discussioni a volte anche severe ma quando si degusta senza conoscere quel che si ha nel bicchiere accadono di questi strani fenomeni e questo vale un viaggio tanto lungo ed una giornata totalmente dedicata.

Queste due meraviglie si abbinavano magnificamente con le prime due portate: carpaccio di vitellone Bianco agli agrumi, caciocavallo e fior di sale affumicato e zeppola di patate e baccalà su crema di pomodoro e olio al sedano; La purea di farina gialla con porcini disidratati e tartufo nero di Bagnoli Irpino

Dico adesso una cosa che vale un po’ in generale ed è il mio personale (e per questo forse inutile) parere sulla cucina dell’Oasis: è molto differente da tutte quelle finora visitate, robusta ed insieme raffinata, con rivisitazioni contenute di piatti fortemente tradizionali, i gusti sono decisi ma comunque dotati di eleganza e delicatezza. Non sono di questo campo ma credo questo dipenda per lo più dalla grande attenzione alle materie prime utilizzate, credo sia proprio qui la chiave del successo di questa rinomata struttura di Vallesaccarda.

A questo punto è il momento di Michela Guadagno, chi non partecipa al simposio non può sapere che si è creata una piacevole consuetudine, Michela mette in versi la “giornata” e ci delizia con il suo lavoro tra una pietanza e un’altra… anche questa volta accade l’evento e siamo tutti zitti zitti ad ascoltare, ma ahimè, Michela questa volta ci spiazza, nessuno ci capisce un gran ché, tutti hanno la stessa espressione sul viso: “ma che avrà voluto dire?”, mah!? Viva il Dolce Stil “Vecchio” della Guadagno… te li dedico io dei versi (sempre con tono scherzoso, si intende)

dico all’anima tua vera
torna ad essere leggera

Anche questo è il simposio! Man mano che aumentano questi straordinari incontri (non smetterò mai di ripeterlo, rassegnatevi), oltre a diventare sempre più bravi noi a riconoscere i vini, diventa anche maggiormente difficile per la triade organizzatrice individuare “nuovi” prodotti da proporre, che siano ovviamente di un certo livello, e rimanere nei costi che seppur apparentemente alti restano costi minimi se consideriamo la tipologia dell’evento. C’è da dire però che loro ci riescono sempre, inoltre nelle ultime occasioni hanno pensato bene di “sfasare” leggermente gli abbinamenti facendo sì che lo stesso vino possa esser valutato su portate differenti, l’esercizio è interessante se il vino è assai intrigante. Ed è proprio il caso del libanese Chateau Musar 2000 , un vino ottenuto da uve autoctone: Obaideh e Merwah, che ha accompagnato Lc candele spezzate di Setaro con ragù bianco di agnello, pecorino e menta. Si tratta di un biodinamico con una complessità che aumenta nel bicchiere nel tempo sprigionando sensazioni olfattive sempre nuove, sempre nobili, come la delicatissima ma decisa ossidazione che rende il vino singolare e riconoscibile. Particolarmente interessati ad esso si sono mostrati i coniugi Tullio e Miriam, nuovi amici del simposio che, in quanto produttori (amatori) di vino, spiegano a me che lo avevo suggerito che non può trattarsi di un Fiano biodinamico perché non dotato di adeguata struttura, un parere autorevole e gradito, speriamo di averli ancora fra noi nelle prossime occasioni.

Davanti ai grossi nomi finora fatti, un rosato abruzzese potrebbe stare in soggezione, ma noi siamo sommelier o comunque amanti di questo mondo e sappiamo bene che, mai come nella enogastronomia, tutto è estremamente relativo. Il quarto vino è, infatti, “semplice” nella accezione più aristocratica della parola ed anche quello che probabilmente ha colpito la maggior parte di noi. Si tratta di un Montepulciano d’Abruzzo Cerasuolo 2007 Pepe. Un naso immediato, intenso anche se non particolarmente complesso, frutta a bacca rossa, per lo più ciliegia amarena, ma gradevole come pochi vini sanno essere, di colore indefinibile, per capire che si trattava di un rosato sono dovuto uscire fuori in strada, un automobilista mi vede roteare il bicchiere sotto la pioggia, lui e perplesso e ci guardiamo per un attimo e proprio in quell’attimo mi viene un leggero rigurgito da dopo pasto, sapete, di quelli per cui si rigonfia leggermente il labbro superiore ad una delle due estremità, avrei voluto dire “guardi, non sono ubriaco” ma lui ha accelerato… sono rientrato mortificato in sala dove ho trovato altri commensali d’accordo sulla piacevolezza del vino, soprattutto le signore, Marina, Stefania e Francesca, una bellissima sorpresa.

Il piatto che mi ha emozionato di più è stato invece il secondo: agnello in cottura lenta e lunga su purè di patate affumicate e riduzione di Taurasi; un grande equilibrio per un piatto strutturato e complesso, armonico al gusto e ricco di tradizione, l’agnello è il piatto principe di queste zone, in questo caso preparato con una retrogusto dolce ed accattivante legato alla riduzione di Taurasi che lasciava la bocca ansiosa di un nuovo boccone. Ovviamente noi smaliziati sommelier abbiamo pensato che l’esperienza della triade non poteva non aver considerato la regola ferrea che vuole in abbinamento ad un piatto basato su di un determinato vino il vino stesso, ma poi gli smaliziati sommelier si sono ricordati che la triade è assai più smaliziata di loro ed hanno immediatamente abbandonato questa strada. L’esame organolettico del vino sconosciuto ha evidenziato subito un prodotto ovviamente robusto, adattissimo alla portata, dotato di un tannino delicato ma percettibile, di freschezza e di una buona sapidità ma anche di una morbidezza notevole che riconduceva allo stesso equilibrio della portata in abbinamento… qualcuno ci ha visto un aglianico evoluto (non era una cattiva intuizione) qualcun altro il taglio bordolese… e invece eravamo nella immancabile Toscana, Cabro Il Borgo 1998 Tenute Folonari , per un uvaggio di Cabernet Franc e Sangiovese.

Infine il dessert, La millefoglie in verticale con crema casalinga, granelle di nocciole e visciole (amarene selvatiche) a cui viene abbinato un passito del nord, il Torcolato 2005 Maculan . Chi mi conosce sa la mia passione per i passiti del nord Italia, preferisco la loro maggiore bevibilità dovuta ad una prevalente freschezza e mineralità, per questo ho intuito la provenienza, pensando in realtà ad un Ramandolo, ma poi a giochi svelati mi sono rammaricato di non aver riconosciuto un prodotto che avevo incontrato ed amato proprio recentemente.

La giornata termina con il ritorno in pullman, dove poi si concretizza maggiormente lo spirito di amicizia che ci da la forza a noi di partecipare ed agli organizzatori (sempre più bravi) di coordinare eventi così complessi ed impegnativi che però alla fine lasciano tutti un po’ più ricchi. Tra discorsi filosofico-scientifici, improbabili dato il momento e lo stato, e barzellette datate in cui si ride anche se non si capisce la battuta finale, diciamo per “inerzia alcolica”, ci ritroviamo ai saluti e già pensiamo alla prossima avventura. Per correttezza verso gli assenti dovrei raccontare la citata barzelletta dell’uomo invisibile, ma non posso farlo, per il nostro delegato, sarebbe la quarta volta che la sente e nessuno merita tanta cattiveria, soprattutto lui, concedetemi di sottolineare lo spirito di abnegazione nel partecipare nonostante la precaria condizione fisica ed altri problemi personali. Non mollare delegato, resta per noi! Il tuo entusiasmo alimenta il nostro, il mio in particolare. L’ultima “allisciata” è per la bellezza dei commensali storici, bellezza non soltanto estetica, quella è assodata e non in discussione, bellezza nello spirito e nella passione, per la evidente curiosità per la vita che poi è il vero carburante della nostra esistenza, l’antidoto più efficace per la depressione, parlo di Alessandro W., Kuniko, Marcello e famiglia, Alessandro secondo, Roberta prima, Marina dopo, Stefania sempre e gli altri “fedelissimi”… grazie a tutti voi per questi bei momenti.