Di Franco De Lucacarciofo-bianco.jpg Una delle prime cose che vengono insegnate ai corsi AIS è che il carciofo è uno dei peggiori nemici del vino. Come il gelato che “gela” le papille gustative, il cioccolato fondente il cui aroma rimane circa un mesetto nella nostra bocca, anche  questo nobile ortaggio viene classificato senza pietà nell’elenco dei cattivi. Tra le più gravi conseguenze vi è quella che i giovani corsisti poi vanno nei grandi ristoranti a correggere i sommelier quando i piatti da loro proposti presentano preparati a base di carciofo. Ma per fortuna molti sommelier professionisti hanno imparato a mantenere la calma.

In realtà la storia dell’amaro rappresenta un colossale luogo comune solo in parte veritiero. La verità indiscutibile è che il carciofo ha una spiccata tendenza amarognola, ma è verità anche che questo non ha mai rappresentato un problema gastronomico insormontabile.

Cominciamo a capire da dove proviene questo amaro. Tra gli ortaggi il carciofo è uno di quelli che contiene maggiore quantità di polifenoli, in particolare tannini, ed in questo senso è secondo forse solo agli spinaci. Questo aspetto  è denunciato anche dalla colorazione violacea che in alcune tipologie, vedi il violetto di toscana,  è evidente sin dai primi stadi di maturazione. Oltre a quanto detto bisogna anche segnalare in quest’ortaggio la presenza di “chitina”, polisaccaride noto per essere il costituente principale dell’esoscheletro degli insetti e presente nel mondo vegetale nei funghi e nelle tipologie erbacee che hanno consistenza coriacea o presenza di spine. Anche la chitina da il suo contributo alla sensazione di amaro. Diciamo quindi che l’amaro c’è e che in effetti è un reale problema per l’abbinamento col vino, tuttavia questo problema può rappresentare un vero limite soprattutto nel consumo a crudo o in relazione a preparazioni comunque estremamente elementari. Il problema quindi può essere risolto operando sagge manipolazioni tra i fornelli. Questo può avvenire in tanti modi differenti, a cominciare dai sistemi di cottura. La frittura, per esempio, è stato uno dei primi strumenti  utilizzato per attenuare l’amaro di alcuni alimenti, sappiamo bene infatti quanto essa aumenti la sensazione di tendenza dolce in particolare degli ortaggi fino al punto di renderne poi necessaria la salatura. Diciamo per concludere che uno chef conosce mille modi per riequilibrare un preparato a base di carciofi in modo da renderlo maggiormente equilibrato e più facilmente abbinabile ad un vino e conservandone, allo  stesso tempo, le peculiarità organolettiche. Ma a parte le osservazioni tecniche, bisogna anche considerare che esistono numerose specie di carciofi e che non tutti hanno tanto spiccata la tendenza amarognola.  Le tipologie più prelibate sono quelle che presentano un buon rapporto dolce/amaro e questi sono gli “spinosi di Sardegna”, gli “spinosi di Liguria”, il “Romanesco”, quello di “Paestum” ed altri, tutti facilmente reperibili sui mercati italiani, ce ne sono però anche di meno conosciuti nelle varie regioni del nostro paese che possono rappresentare delle vere e proprie sorprese. Tra questi  vi è l’ottimo “Carciofo Bianco di Pertosa”.

Questa particolarissima varietà, già presidio Slow Food, viene coltivata nella valle del Tanagro, esclusivamente nei comuni di Auletta, Pertosa, Caggiano e Salvitelle, ad opera di una ventina di  produttori quasi tutti riuniti da circa nove anni nel “Consorzio del Carciofo Bianco di Pertosa”.  Si tratta di un carciofo molto atipico, di colore verde tenue che si conserva fino al culmine della maturazione, con polpa bianca argentea, senza spine e con pappo ridotto e tardivo. Il pappo è un ciuffetto di peli chiari che denota uno stato avanzato della fioritura e di conseguenza il decadimento delle qualità organolettiche.  Ricordiamo a tal proposito che il carciofo, così come il cavolfiore o l’asparago, rientra nella categoria degli “ortaggi a fiore”(nel senso che la parte edule è il fiore e non il frutto o la radice o la foglia ecc.) e viene raccolto tra fine aprile e metà maggio quando non è ancora sbocciato completamente perché solo in quel momento ha valore gastronomico. La pianta generalmente produce  4-5  “mammarelle”  di forma sferica, poi ci sono le “seconde” di forma conica ed i “figlioletti” che restano piccoli e vengono utilizzati per esser conservati sott’olio.

A questo punto, per le considerazioni generali che abbiamo esposto, già dal colore e dal fatto che non ci siano spine possiamo intuire le caratteristiche di questa tipologia, ed in effetti questo particolare ortaggio si presenta con prevalente tendenza dolce. Meno equilibrato quindi rispetto ai suoi fratelli più famosi ma dotato di una straordinaria delicatezza e di una gradevolezza che conquista al primo assaggio.

Il consorzio lo distribuisce in tre forme diverse: confezione del fresco (cassette di legno che contengono 14 mammarelle o 21 seconde), barattoli di carciofini sott’olio e paté di carciofi (ottenuto utilizzando esclusivamente mammarelle). È proprio del paté di carciofi che ci siamo occupati nell’ambito di “Falanghina Felix”, presentandolo ad una platea molto incuriosita ed abbinandolo a tre falanghine con caratteristiche molto differenti.

Falanghina Felix è l’ormai famosa rassegna nata con l’obiettivo di promuovere la conoscenza delle specifiche peculiarità produttive del sistema vitivinicolo campano. La cornice è come sempre il suggestivo borgo di Sant’Agata dei Goti  che di anno in anno accoglie sempre più appassionati dell’enogastronomia, provenienti da tutta la Campania ma anche dalle regioni limitrofe.  La nona edizione si è svolta in un caldo record. A dispetto del fresco chiostro di palazzo San Francesco (sede del Comune) dove erano allestiti i banchi di assaggio di quasi tutte le aziende produttrici  campane,  la sala consiliare dove invece avvenivano le degustazioni  sembrava un forno crematorio,  non temevamo tanto  che gli eventi andassero deserti quanto che fondessero i bicchieri, ma avevamo sottovalutato la potenza del carciofo e della curiosità dei visitatori che per fortuna non accenna a diminuire. Anzi, è sempre emozionante vedere le sale gremite da persone che vogliono sapere di queste “piccole realtà” che rappresentano la vera scommessa dell’agroalimentare campano.La degustazione è stata guidata dal neo presidente dell’AIS Nicoletta Gargiulo e dal sottoscritto, Relatore AIS per “Funghi, Tartufi,  Ortaggi e Legumi”.  Ospite anche uno dei produttori consorziati a cui sono state rivolte numerose domande. E’ proprio quest’ultimo che ha fornito interessanti curiosità riguardo al prodotto, spiegandoci del consorzio e delle iniziative che stanno nascendo per promuoverlo (vedi la “Sagra del Carciofo di Pertosa” che si tiene a maggio nel detto comune), ma anche dell’attenzione sempre maggiore da parte degli enti e delle associazioni del settore. Comunque, dopo aver chiacchierato il minimo indispensabile per non infierire ulteriormente su una platea già abbastanza provata dalla sauna involontaria, è stato servito il paté di carciofi, a cui sono stati abbinanti i seguenti  vini: una falanghina spumantizzata (Astro –  Cantine Astroni 2009), una falangina del Sannio ferma e dell’annata in corso (Vàndari – Masseria Venditti 2009), ed una dei Campi Flegrei sempre ferma ma dotata di maggiore corpo e caratterizzata da macerazione sulle fecce più un lungo e articolato affinamento (Contrada Salandra, 2008).  La bollicina ha pulito bene la nostra bocca dalla grassezza legata alla cremosità del prodotto ed anche la falanghina ferma era in equilibrio perfetto con la leccornia servita. La falanghina più “evoluta” presentava invece una maggiore persistenza gustativa e finiva per prevalere sul paté.  La degustazione è stata quindi anche un’ottima occasione didattica dove poter mostrare i limiti degli abbinamenti non felici da una parte è nello stesso tempo la capacità che ha una accostamento indovinato di valorizzare ampiamente sia il piatto che il vino. Ma più di ogni altra cosa, il presidente dell’AIS ed io abbiamo voluto evidenziare la duttilità di questo splendido vitigno, la sua attitudine ad esprimersi a buon livello nelle varie modalità di lavorazione, e la sua  capacità di “reggere” anche pietanze complesse  e dotate di forte personalità. La platea, nonostante il clima equatoriale, ha mostrato un grande entusiasmo per il prodotto presentato pur essendo assai eterogenea. Infatti essa era composta per lo più da semplici appassionati occasionali ma vedeva anche la partecipazione di giornalisti del settore e del nuovo assessore all’agricoltura Vito Amendolara che ci ha onorato con la sua presenza ed a cui vanno i nostri più sinceri auguri di buon lavoro.La valle del Tanagro è da sempre un luogo tanto sconosciuto quanto ricco di attrazioni, sulla via delle Calabrie rappresenta una ottima via di fuga dall’incubo dell’autostrada. Laddove la sfiducia nella vita tocca forse il punto più basso, ecco un luogo che può farci riappacificare con il mondo. Forse i disagi che dobbiamo subire sono il prezzo che dobbiamo pagare all’universo per godere poi di posti tanto speciali… ed oggi abbiamo un motivo in più per visitarli.