Di Francesco Paciello

Ospiti grati lo scorso 15 marzo dell’evento “Tartufi e Vino”, accolti e coccolati nel celebre caffè Gambrinus di Piazza Trieste e Trento a Napoli, scopriamo che il Tartufo campano, fungo ipogeo di antico lignaggio, troneggia sulle tavole gourmande di ogni angolo del mondo, magari passando da Norcia o dalle Langhe. La notizia ci è fornita, senza mezzi termini, da autorevoli fonti istituzionali e imprenditoriali che hanno organizzato la manifestazione per presentare idee e azioni per “Un progetto sul Tartufo”. L’incontro, frutto della collaborazione sinergica tra il Consorzio Osservatorio Appennino Meridionale, l’Università di Salerno e la Regione Campania, ha voluto sottolineare il valore di un’importante opportunità ancora percepita attraverso una logica hobbistica priva di coordinamento, regolamentazione e controllo, dove prevalgono gli interessi di piccole economie familiari di sussistenza non ancora consapevoli all’enorme valore aggiunto di cui può beneficiarsi il territorio. Italo Santangelo, funzionario regionale del SeSIRCA, è entrato immediatamente nello specifico tecnico, sottolineando che il Tartufo nero di Bagnoli Irpino, notissimo per l’intenso aroma caratteristico, non è l’unico, né il più pregiato della produzione appenninica campana. Sono almeno cinque le varietà di valore specifico, tra cui un sorprendente tartufo bianco che attira cercatori ed appassionati da tutt’Italia e seduce i distributori e i trasformatori delle aree storiche di Alba e Norcia. Tartufi tanto qualificati da diventare protagonisti nell’ultima asta mondiale durante la quale uno di questi, rinvenuto nel Sannio e conferito dal tartufaio a poco meno di 600 euro, è stato battuto al valore 50.000 euro. Raffaele Beato, direttore dell’Osservatorio, sottolinea la necessità di un’azione forte, coordinata e perpendicolare, capace di innescare una virtuosa economia di territorio, magari ricalcando l’ottimo lavoro svolto per irrobustire e valorizzare le eccellenze vinicole della regione. Obbiettivo possibile, confortati dalla riconosciuta qualità e dalla consistente produzione diffusa sul territorio, ma ancora lontano. C’è una cultura di consumo locale ancora da costruire, da valorizzare nelle preparazioni ed affermare nell’identità.