Di Tommaso Luongo

L’espressione ilare dell’araldo, impolverato dalla lunga sosta in cantina, mi mette  -confesso- un po’ a disagio. Mi sembra quasi di vivere quell’imbarazzo che si prova quando si è costetti a destare bruscamente dal riposo una persona cara…Con soggezione mi accosto, reverente, al bicchiere.

Si concede alla vista con sconcertante luminosità. Un giallo orgogliosamente  fiero, a dispetto di tanti lustri passati pazientemente in bottiglia.

Naso dai tratti materni, per come sa accarezzarti con garbo, infondendo una sensazione di intima serenità. La prima carezza che ti sfiora è un’algida nota di amaretto che si insinua in un quadro aromatico definito da pennellate floreali. Con il passare dei minuti l’abbraccio olfattivo diventa sempre più profondo e accogliente. A fatica riesco a divincolarmi per assaggiarne un sorso.

Al palato è pulsante, per come si espande spavaldo in bocca fino a rimanere sospeso per un attimo, per poi contrarsi, raccogliersi su se stesso e ripartire di slancio spinto da un’esplosiva tensione verticale che sprigiona nell’allungo finale solari nuances fruttate. Una dinamica gustativa vitale ed emozionante.

Ripenso all’araldo sull’etichetta e finalmente comprendo il perché di quel sorriso.

Mi inchino, commosso, e mi scopro a sorridere anch’io.