Di Mauro Illiano

“Magica” è la parola più idonea a descrivere l’atmosfera che ha avvolto le sale di Villa D’Angelo nella serata del 27 Febbraio scorso. Magica, poiché tutto è apparso nella sua forma più originale. Così è stato per il luogo, vero angolo di paradiso ad osservare i più bei lineamenti di una Napoli da amare. Così è stato per le persone che hanno reso possibile tale incanto: Laura Gambacorta, voce ed anima dell’evento, silente macchina da guerra in grado di conquistare tutti e tutto; il Professor Luigi Moio, delegato di Bacco in Terra e foriero della sua ultima creazione enologica “Metamorphosis”; lo staff, visibile e invisibile, dai laureati Sommeliers dell’Ais Napoli, ai rappresentanti della stupenda struttura Villa D’Angelo.
Ma cosa sarebbe stato questo evento senza le creazioni, l’estro e la scienza di Mr. Niko Romito? Per la sua prima volta a Napoli in veste di Cuoco mi ha concesso un’intervista.
Ecco a voi l’uomo che vive oltre lo Chef Niko Romito

1. Chi è Niko Romito ? Dove è nato, dove ha vissuto, quanto ha viaggiato…
Romito: Sono nato a Castel di Sangro il 30 Aprile del 1974 ma non ho vissuto sempre lì. Fino a 12 anni, infatti, sono vissuto a Rivisondoli, poi mi sono trasferito a Roma, dove sono rimasto fino a 24 anni. In fine sono tornato “a casa” a Castel di Sangro, dove vivo tutt’ora. Non ho viaggiato molto per lavoro, le mie due uniche esperienze significative sono state quella in Toscana (ristorante Da Caino) e quella a Girona in Spagna (ristorante Celler de can Roca)

2. Perché ritiene logico dedicare la sua vita alla cucina ?
Romito: Credo che ognuno abbia una sua logica personale. Nel mio caso è stata la sorte a decidere per me, in un primo momento intendo. Avevo altre intenzioni, volevo vivere a Roma e continuare gli studi di Economia e Commercio, ma poi non è andata così.

3. Chi o cosa ha influenzato maggiormente la sua scelta di vita ?
Romito: L’evento che ha determinato maggiormente la mia scelta di vita è stato, sicuramente, la morte di mio padre. Ero giovane quando ereditai il suo ristorante. Accadde tutto all’improvviso, ma capii che quella era la mia strada. Scoprii di avere una passione vera per la cucina, e decisi di tornare in Abruzzo per fare sul serio.
Quanto alle persone, beh, credo che Valeria Piccini (ristorante Da Caino, Montemerano) sia stata una delle persone più influenti sulla mia formazione. Ma devo ammettere che anche il continuo confronto con amici/critici mi ha arricchito nel tempo.

4. Se potesse cambiare la sua vita a cosa si dedicherebbe, e, se c’è qualcos’altro che l’attira, perché non l’ha scelto prima ?
Romito: Sicuramente all’architettura, o comunque all’arte. Credo ci sia un collegamento molto forte tra arte, architettura e cucina. Amo profondamente lo studio dei materiali, dei colori, dei disegni, sono un appassionato di settore.
Me ne sono accorto troppo tardi altrimenti, chissà, magari avrei fatto l’architetto. Ma intanto avevo già lasciato Economia ed avevo un bel po’ di fornelli da controllare..

5. Quale crede sia l’ambito più comparabile al suo lavoro, e perché ?
Romito: Credo che vi siano più settori accostabili alla cucina. Sicuramente l’arte, poiché il cuoco è costantemente a lavoro per creare qualcosa di nuovo ed apprezzabile, anche dal punto di vista artistico. Ma anche la scienza, poiché le tecniche da imparare ed applicare sono ad essa collegate. E poi, credo che oggi un settore da non sottovalutare sia la comunicazione, poiché la figura del cuoco va evolvendosi, e se si vuole arrivare al pubblico bisogna imparare anche a comunicare.

6. Se dovesse mai decidere di abbandonare l’Italia, dove crede che la sua cucina potrebbe avere maggiore successo, e perché ?
Romito: In assoluto ritengo che New York sia la città più indicata. Ho avuto il piacere di visitarla ed apprezzarne l’approccio alla cucina, per cui ritengo che elementi quali “riconoscibilità degli ingredienti” ed “essenzialità dei preparati”, tipici del mio stile, potrebbero riscuotere consensi anche oltre oceano.
Quanto all’Europa dico Londra, altra metropoli che amo. E’ una città sempre pronta a tutto.

7. Quale crede sia l’aspetto meno valorizzato dell’universo culinario da parte dell’immaginario collettivo ?
Romito: Credo che uno dei più grandi problemi relativi alla valutazione della cucina, e della gastronomia in generale, dipenda dal fatto che chi si siede a tavola si sente tecnicamente preparato per giudicare tutti e tutto. La cosa non è così semplice. E’ strano, se vai a vedere una pinacoteca trovi tutti con le audio guide a naso in su e con un libricino in mano, ma se entri in un ristorante, invece, tutti si ergono a giudici critici.
La verità è che pochi si concentrano su cosa vive oltre il piatto, cosa c’è dietro; quanta ricerca, quanto studio, quante prove. Ecco, credo che questo andrebbe valorizzato maggiormente, poiché se la gente fosse a conoscenza del percorso di creazione di un piatto, lo apprezzerebbe sicuramente di più.

8. Quali sono le caratteristiche che un allievo ideale deve avere per poter ambire a divenire un Cuoco di assoluta rispettabilità ?
Romito: Un buon allievo deve innanzitutto essere in possesso di un’ottima sensibilità all’apprendimento in cucina. Poi deve saper ascoltare, essere umile, avere una buona dose di passione e, cosa non meno importante, deve sapersi mettere sempre in discussione. Chi non lo fa non capisce dove iniziano e dove finiscono le proprie doti, quindi perde di vista i propri limiti, e con essi la possibilità di migliorarsi.

9. Di quale cucina internazionale, esclusa quella italiana, si ritiene un vero estimatore ?
Romito: Credo che in Francia ci siano i migliori maestri, ma non sono particolarmente preso dalla cucina francese. Ciò che amo dei francesi è, piuttosto, la capacità di fare scuola, il loro approccio alla cucina, la loro ricerca.
Sento un gran feeling, invece, con la cucina orientale. Amo le spezie, i profumi, le zuppe. Si, credo che la cucina orientale sia quella nella quale maggiormente mi riconosco dal punto di vista filosofico.

10. Quale crede possa essere la prossima frontiera della cucina ?
Romito: Credo che il prossimo futuro vedrà l’affermarsi della micro-territorialità, la selezione extra capillare degli ingredienti. Ma con ciò non intendo dire che si affermerà la cucina a kilometro zero, altrimenti buona parte dei ristoranti d’Italia (vedi quelli in pieno centro a Milano o a Roma) non avrebbero speranze. Sto dicendo che la scelta degli ingredienti sarà sempre più orientata verso la qualità estrema, e che elementi quali la concretezza, la riconoscibilità e l’essenzialità in cucina, potranno rappresentare la carta vincente per conquistare tutti i palati. La gente, anche a tavola, vuole risposte, non domande da porsi.