Di Mauro Illiano

Esiste un modo per immaginare in grande, esiste un modo per destrutturare ogni concetto, esiste un modo per fare del minuto l’infinito, e racchiudere i propri sensi in una dimensione senza tempo né spazio. Tutto questo passa attraverso la disponibilità ad andare oltre i giudizi storici, oltre le misure, per approdare ad una dimensione propria, dove tutto è vero alla stregua del suo contrario, poiché ciò che “è” vive solo nell’atto di essere immaginato, senza la pretesa di diventare esso stesso la storia.

E’ per questo che ho eletto Cancale la mia Capitale gastronomica della Francia, mettendo da parte le più blasonate Parigi, Lione, Montpellier o Bordeaux.. poiché, dopo tutto, non potrei scrivere ciò che non penso.

Tutto comincia all’alba, quando la luna lascia il mondo, immergendosi nell’Atlantico oltre l’orizzonte, ed una bruma densissima monopolizza le silenti vie della cittadella. I portoncini chiusi dei negozi sono un susseguirsi di colori vivaci, ora smorzati dalla nebbia; nulla si ode intorno se non il mormorio stonato dei gabbiani, che annuncia all’occhio ciò di lì a poco lo attende. Così, in Rue du Port procedendo verso il molo non esistono altri rifugi se non i bar, che dagli usci semi-chiusi lasciano fuggire via i più primordiali odori: dolcissime note di burro ad avvolgere croissant appena sfornati, inebrianti sentori di frutti di bosco in forma di confettura, freschissima acidità delle prime gocce di un caffè. Il passo successivo è entrare. Dopo aver guadagnato una posizione comoda, è l’ora di ordinare. Parte dunque una sfida impari tra tarte aux fruits (crostata di frutta) , pain aux raisins (dolce con crema e uvetta), religieuses (bignè farciti).. e la più famigerata creazione bretone, ovvero la Crêpes Sucre-beurre, apoteosi di semplicità e sapore, alchimia dei più elementari ingredienti a formare un disco tanto calorico quanto digeribile, sul quale è possibile, democraticamente, ospitare ogni condimento, sia esso salato o dolce. Un café noir andrà bene sulla scelta dolce, in caso contrario occorrerà metter mano ad un altro cavallo di razza della Regione, il Cidre, succo fermentato di mela, dal sapore indescrivibile quanto mai uguale.

Terminato il primo round, c’è ancora tempo per scoprire che la notte ha portato via il mare. Procedendo sino a giungere al porticciolo, uno spettacolo surreale accoglie il viandante: pescherecci e barche chine come a dormire sulla rada ora secca, lì dove il dì precedente albergava il mare. Correnti oceaniche fanno dei confini marini ciò che vogliono, lasciando ciclicamente a secco interi porti. E fondali vivono una duplice vita tra giorno e notte, ospitando ora voraci pesci a consumare gli scarti dei pescherecci di ritorno, ora orde di gabbiani a rastrellare il fondo secco del luogo in cui va in scena la mattanza.  Poi, lentamente, ogni cosa torna al suo posto, le barche si destano a galla, l’Oceano riabbraccia la terra, ed i gabbiani spiegano le ali.

Le ore di mezzo di ogni giornata passano con la lentezza tipica dell’attesa. Così, andare a spasso in un marchés en plen air è la migliore occasione per prendere lezioni di gusto. Pochi banchi, tutti perfettamente allineati. Pani e panetti sistemati come in file di scolari, fanno da apripista alle più famose baguettes flȗtes o ficelles, che svettano dalle ceste di legno. La gente del luogo usa portarle sotto il braccio a mo’ di giornale, poiché in Francia la baguette non è solo un pezzo di pane, è un pezzo di cultura. Venditori di ortaggi fingono di farsi concorrenza, consapevoli che i rispettivi clienti non li abbandonerebbero mai, e pongono in cima alle proprie gerle mele e cavoli, a fare da portabandiera della gastronomia locale. Ci son poi i mercanti di formaggio, che trafugano tesori dalla Normandia per la felicità dei bretoni. Due su tutti i dischi d’oro a regnare: il paradisiaco Camembert, che tanto piacque a Napoleone III, ed il centenario Livarot, noto anche come “Colonnello”, per le 5 strisele in cui è avvolto che, un tempo, erano realizzate con legno di salice.. Queste ed altre storie si odono sulle vie del gusto della Bretagna, dove i pasti, come gli ingredienti, sono qualcosa di più che essenza vitale, qualcosa di cui vivere, si, ma non solo con il corpo.

Così, lasciandosi trasportare dalla sacralità del posto e del pasto, invertire le più ordinarie regole del palato non risulta faticoso, anzi diviene un’occasione per capire, per la prima volta, quanto anticonvenzionale sia e debba essere l’atto di degustare. Tornando sulle vie del centro passando da Quai Gambetta, allora, ogni occasione è buona per ovviare allo schema: sono le 11 del mattino, una Gelette Complète andrà benissimo! E poi di nuovo spalle al mare, alla ricerca di una dimora appartenuta alla Compagnia delle Indie Orientali, dove oggi, un affermato cuoco, prepara un piatto denominato “Rotta dei mari del sud”, in cui les fruits de mer incontrano ricercatissimi molluschi, tra i quali svettano le iraches, seppioline locali pescate, sotto giuramento, “solo mentre i lilla sono in fiore”. A questo punto è tempo di rumori sordi, come quello di un tappo che abbandona per sempre una bottiglia, per questo occorre chiedere soccorso ad altre Regioni. Per rendere onore alla creazione appena finita sotto il proprio naso, potrà andare bene un Aligoté o un Cremant di borgogna, oltre i quali è il caso di rispolverare il motto “rien ne va plus”, ovvero il gioco è fatto.

Il tempo passa sino a testimoniare quell’ora in cui il sole assume una sfumatura che dall’arancio melograno muta in cadmio nell’atto di inabissarsi ad ovest. Le tavole dei trentacinque ristoranti sul molo assumono la trasformazione dell’imbastimento, negozi per turisti serrano i propri ingressi, e mandrie di gatti nomadi si spingono verso Pointe des Crolles. Puntini bianchi provenienti dal mare presto assumono le sembianze di pescherecci bianchi a strisce blu, e nuvole di gabbiani li accompagnano sino a riva, dove il più grande spettacolo sta per avere inizio: Le marché aux huîtres!

Uomini o donne dalle braccia sovradimensionate scaricano parte delle 4.000 tonnellate di ostriche che Cancale regala alla Francia e al mondo ogni anno. Carrettini pittati delle più vivaci tinte espongono quei frutti in tutte le loro misure, sgusciati da mani abili quanto quelle di un baro. Così, procedendo da un lato all’altro dei banchi è possibile notare ostriche di tutte le pezzature che, come matriosche, sembrano potersi contenere l’un l’altra, sino a giungere a mastodontiche regine (le numero 0), che a stento si contengono in due mani aperte.

E’ questo il modo di affrontare il tramonto in terra bretone: sapori intensi, vento forte e sale nei capelli all’imbrunire. La notte è già lì, la cena può esserci o meno, a seconda di quanto il proprio palato abbia rotto gli indugi. Un ultimo giro di lancette passato a scrutare l’ennesima fuga del mare, ancora il tempo di un calice di vino, poi l’oblio.