Di Mauro Illiano

Bene, posti i capisaldi ed enucleati i grandi meriti organizzativi inerenti il London Wine Fair 2012 (col nostro primo articolo), possiamo ora scendere più in profondità. A tal proposito, onde consentire una lettura più dinamica, ed offrire una panoramica più eloquente dell’evento, ho preferito preparare un parere in forma di scheda.

ORGANIZZAZIONE TECNICA: Perfetta. Ottima la scelta location, collegata per mezzo di frequenti treni della D.L.R. in interscambio con la famigerata Underground di Londra. Spedita e senza sbavature anche l’accoglienza: tutti avevamo un badge con codice pre-stampato, ed all’ingresso ci veniva consegnato il tesserino. Presenti aree ristorazione, press room, degustazioni, dibattiti, meeting e specifico settore bagni.

DESKS: Estremamente personalizzati. Gli spazi andavano da piccoli avamposti di legno con sgabelli a vere e proprie suites per ricevere business men. La divisione era fatta per Nazioni, poi per zone e, in taluni casi, per tipologia di uvaggio (piccoli vignerons). Forti ma lontane dalle bottiglie le luci, per non disturbare né danneggiare il vino. Ottima la scelta grafica delle insegne, che risultavano riconoscibili anche da lunghe distanze, e favorivano così le selezione dei produttori da visitare.

PROGRAMMA: Ricco, corposo, serrato. Ce n’era per tutti i gusti. Dalle discussioni inerenti le scelte di marketing, alle interpretazioni del sauvignon blanc, i nuovi mercati del vino ed i formati in stile smart wine.

QUANTITA’ E QUALITA’ DELLE AZIENDE: Impressionante il numero di produttori, provenienti da tutto il globo. Chateau Musar, Gardet, Domaine Desroches, Yalumba, Tierras de Murilo.. bastano a convincervi sulla stoffa dei partecipanti? Beh, non basterebbero dieci articoli per elencarvi gli altri..

SPUNTI INTERESSANTI: Come accennato nel primo articolo, uno dei dati più rilevanti che sono riuscito ad estrarre da questa manifestazione è la tendenza, ampiamente condivisa dai produttori, di sforzarsi a portare sul mercato vini con un prezzo inferiore ai 10 £ – 12 €. Ho avuto modo di confrontare le versioni fornite da manager di diverse aree del mondo, ed è venuto fuori che tale è il prezzo medio che un consumatore è disposto a spendere per un “buon” vino. Quanto alla definizione del “buon” vino, direi che le risposte hanno, invece, dato esiti differenti. Alcuni hanno ammesso che il livellamento verso il basso dei prezzi ha generato e genererà una minore minuziosità/arricchimento/affinamento del vino; altri hanno semplicemente sostenuto che il prezzo del vino è il frutto delle condizioni del mercato, dunque, meno domanda = prezzi più bassi. Sta di fatto che tale trend non dispiacerà affatto ai consumatori.

Altro elemento interessante è stato quello di prendere in considerazione il vino anche in una versione smart. Ovvero, alcuni produttori si sono impegnati per realizzare prodotti da offrire in lattina (ho personalmente provato un riesling ed un bordeaux), come alternative a cocktails o a bubble drinks alcolici. Mi vengono in mente un bel po’ di vini italiani che, se proposti in questa versione, potrebbero realmente conquistarsi un’interessante fetta di mercato..

I MIEI ASSAGGI: Personalmente sono riuscito ad assaggiare una quarantina di vini, e devo dire che complessivamente il livello dei campioni degustati è stato decisamente buono. Premetto che, eccezion fatta per una degustazione di Chateau Musar (come potevo esimermi?), mi sono concentrato maggiormente su vini ed aziende che non conoscevo. Così ho scoperto la buona qualità di Zorzal (Argentina), del quale ho avuto modo di assaggiare discreti Malbec e Pinot nero, ed un Torrontes originalissimo. Oppure mi sono lasciato attrarre da Anakena (Cile), che produce un Sauvugnon Blanc assolutamente degno di nota. Stratosferici l’Albarino ed il Tennat di Bodega Garzòn (Uruguay), in quanto vini strutturati e longevi. Ho poi trovato innovativa l’azienda Linkwood Vineyards (U.S.A.), di cui l’enologo procede personalmente, ipad alla mano, ad illustrare le proprie scelte agli astanti. Interessante anche l’esperimento in Pinot Grigio di Dunamis (Brasile). Completamente sconosciuto prima mi era il Kasnostop, vitigno russo assaggiato al desk di Chateau Tamagne (Russia). Nettare prelibato il Madeira di Justino’s (Portogallo). Simpatico il parallelo di Pinot Noir tra Whilamete Valley, Z’Ivo e Soter. Estremamente piacevole il Brut di Broadwood’s Folly (Inghilterra). Menzione finale all’unico Campano in sala, validissimo rappresentante con i suoi Fiano, Cantari e Taurasi, ovvero l’azienda Ager Taurasinus (Italia).

THE MAN OF THE MATCH: Ho chiesto in prestito questa definizione al calcio, per definire l’uomo più rappresentativo che ho avuto modo di incontrare. Signore e signori, sto parlando di Monsieur Gaston Hochar, patron di Chateau Musar, nonché di un’azienda di vini in Libano. Quando è arrivato al suo salotto c’è stato uno stupore generale, ed i presenti per un lungo istante sono rimasti a naso in su ad osservarlo dimenticando (e non era semplice) ciò che avevano nel bicchiere. Poco da dire Gaston è un fuoriclasse, apre le difese e va a segno con una semplicità disarmante. E poi ama l’Italia, ed è cosa affatto semplice per un francese!