Di Mauro Illiano

Napoli è una città straordinaria, una città in cui le cose più scontate sembrano divenire ambiti traguardi a cui mirare, e le cose più impossibili, per contro, talvolta sembrano potersi realizzare con una semplicità disarmante. Napoli è una città magica, fatta di gente unica e luoghi soprannaturali. Napoli è una metropoli che ogni giorno scopre una nuova virgola nel suo volto, e nel farlo si riscopre ogni giorno più affascinante.

Così, percorrere il perimetro urbano della città e scoprire che in esso è custodita l’area metropolitana vitata più vasta d’Europa subito dopo Vienna, è al contempo un miracolo ed una realtà ignorata dalla stragrande maggioranza dei napoletani.

L’uomo e la natura, due entità complementari eppure così litigiose, hanno trovato a Napoli il giusto compromesso.

Da questo arcaico sodalizio nasce il capolavoro di Salvatore Varriale. Una meraviglia figlia delle mani dell’uomo quanto di Madre Natura.

Verdi filari uncinati a una collina posta di fronte al mare. Foglie mosse da venti perenni, e pali instabili a traforare un terreno vulcanico. Piccole gemme, bianche, rosa e rosse, a rendere giustizia ad una Divinità magnanima, che nulla chiede in cambio delle sue stagioni se non la più bella espressione dell’uva.

La storia racconta che lì dove ora siedono l’orto e le vigne di Salvatore, già un tempo una eroica donna, di nome Gelsomina, prestava il suo lavoro al campo onde accontentare le richieste dei nobili signori di Posillipo.

Il tempo passò, e nonostante la donna avesse messo al mondo tanti figli maschi, questi furon rubati ai campi dal più remunerativo intento di ricostruire l’Italia nell’era post bellica, non lasciando che una soluzione a Gelsomina: abdicare in favore delle due figlie Concetta e Raffaella, lasciare a loro l’onere e l’onore di continuare la sua impresa. Le due donne andarono ben oltre, fondando, insieme a mamma Gelsomina nel 1933, il ristorante Rosiello, il miglior luogo in cui saggiare quanto la natura di quella ridente collina fosse in grado di donare ai palati.

E come fu con Gelsomina, anche per Concetta e Raffaella venne il tempo per cedere il passo ai posteri. Si inaugurò dunque l’era attuale, quella di Salvatore e di sua sorella Carmela.

Gli amori, si sa, non sono autostrade da percorrere d’un pezzo. Essi, piuttosto, possono paragonarsi a quelle stradine in salita piene di buche ed ostacoli a cui sottrarsi, onde giungere in cima e godersi l’attimo posto dopo l’immane fatica. Questo è il ritratto dell’amore, e questo è il ritratto della storia tra Salvatore e la sua attuale vita.

Nato nel 1951, diplomatosi all’Istituto Tecnico Volta, caratterizzato da una passione smodata per l’arte. Fino ad ora nulla che faccia pensare al Salvatore Varriale che tutti conoscono. Salvatore di fatti ha vissuto due vite; una prima da figlio di Gennaro e Concetta, lui coltivatore dei Colli Aminei, padre autoritario dalle idee conservatrici, lei ristoratrice di Posillipo, donna dal grande cuore e dalle larghe spalle. In questa prima vita Salvatore è un essere proteiforme, in attesa di mutare in ciò che il destino ha in serbo per lui. Attende solo un’occasione, un pretesto forse. E questo arriva quando Salvatore è posto dal destino dinanzi ad un bivio: accettare il posto di lavoro come dipendente dopo un concorso appena vinto, o salire sul trono che già un tempo fu di nonna Gelsomina. Dopo lunghe riflessioni e scambi di vedute con chi fino ad allora lo aveva preceduto, Salvatore sceglie: decide di dare inizio alla sua era.

Siamo negli anni ’70, ed i possedimenti Rosiello si avviano a conoscere un cambiamento radicale. Via le erbacce, mai più coltivazioni intensive e monotematiche, la scienza è ora al servizio della vigna. Insomma, ciò che non erano riuscite a smuovere le bombe sganciate dai Tedeschi proprio a ridosso del Ponte di Posillipo – limite nord delle terre dei Rosiello – è invece riuscito a trasformare Salvatore. Il nuovo Salvatore, quello che potreste incontrare oggi mentre solo si diletta nel suo immenso orto. Il Salvatore a cui vengono le lacrime agli occhi mentre, fissando l’uva Sanginella, esclama “Questa.. eehh.. sai cosa diciamo noi di questa? Se prendi un po’ di quest’uva bella fredda e la metti in bocca.. chesta fa a botta!”. Oppure il Salvatore che parla di Rosiello, il ristorante suo e di sua sorella Carmela, come se fosse una persona, ripetendo a più riprese “Io questo vino lo do solo a Rosiello”, o “Queste sono albicocche prevetarelle, ne ho poche, ogni tanto le porto da Rosiello”.

Salvatore pensa alla sua vigna ed al suo orto come dei compagni indivisibili da Rosiello. Così, egli stesso ha messo a punto un sistema di semina e raccolta fatto di tre “passaggi”. Posizione, esposizione e turnazione delle piante assicurano a Salvatore lavoro per tutto l’anno, e garantiscono a “Rosiello” sempre qualcosa di appena colto da portare in tavola.

La creazione di Salvatore è al contempo un’opera titanica e dalla semplicità disarmante. Passeggiare tra le vigne, divise rigorosamente tra Falanghina, posta sul crinale sinistro scendendo, Piedirosso, sistemato invece a destra, e Uva Rosa, rappresentante un ciuffo di appezzamento posto al centro della scoscesa, è un’esperienza di vita.

Filari e pergole, intervallati da balzi di pochi metri, tutt’intorno un recinto di ulivi secolari e non. Ora un mandorlo, ora un pruno, poi il fiore di carciofo, trovano spazio in quest’orto. Il profumo dell’uva da vino è superato, talvolta, dalla pianta della Sanginella. Su tutte irrompe, però, la fragranza della Cornicella. Si è solo all’inizio dell’irta via. Lasciando all’occhio il totale dominio del passo, è facile scorgere limoni e limaranci, ed albicocchi delle svariate forme, che trovan spazio tra gli alberi di pesco e percoca puteolana. V’è poi la via dei gelsi, quelle bianchi e quelle neri, posti in basso rispetto al viottolo delle mele cotogne. Ed altre, ed altre ancora le espressioni della terra. Posto su un pianoro più in alto siede un nuovo orticello, che d’estate è fatto di melenzane e zucchine, pomodori o peperoncini. In giro, sola, cresce un’autonoma rucola.

Quella terra, se potesse, amerebbe Salvatore, proprio come Salvatore ama lei. Non è stato facile, ma Salvarore Varriale ci è riuscito, è riuscito a dare la sua impronta alle sue vigne ed alla sua collina. Ed oggi, quasi come si trattasse di un continente da lui scoperto, Salvatore chiama la sua terra per nome. Così, il tratto più basso del fondo, che termina con un emiciclo affacciato su un altrui giardino, è chiamato “Abbasce o Puorto” data la somiglianza che questo lembo di terra ha con un vero porto di mare; mentre nessun nome potrebbe essere più evocativo di “Abbasce ‘a Bomba”, che sta ad indicare il lato di terra posto nel luogo in cui i Tedeschi sganciarono un ordigno durante la Guerra Mondiale. Inutile che vi dica “ ’A sott e cane” quale tratto di collina stia ad identificare..

Esiste ancora un luogo in cui l’uomo sussurra alle vigne, è un luogo sospeso tra la città e il mare. Tale limbo pare derivare dall’incertezza del Creatore, che nel dipingere una tale magnificenza, restò egli stesso colpito da quanto bella fosse la sua opera, decidendo di farne un esempio di finezza bucolica nel bel mezzo dell’urbe.

VIGNE dell’AZIENDA AGRICOLA VARRIALE

Indirizzo: Via S. Strato a Posillipo, 10

Proprietà: Salvatore Varriale e Carmela Varriale

Ettari: 3,5 di cui 2,3 iscritti alla DOC Campi Flegrei

Uve da vino: Falanghina, Piedirosso, Uva Rosa

Anno inizio vendemmie: 1999

Vini e Distillati Prodotti

– Falanghina “Mare Chiaro

– Falanghina “Monte Coroglio

– Perepalummo “Santo Strato

– Uva Rosa + altri “Uva Rosa

– Grappa di vinacce di Piedirosso “Gelsomina