Di Luca Massimo Bolondi

 Nei primi anni ’80 Filippo Scòzzari dalle pagine di Frigidaire chiedeva “prima vivere, poi scrivere”, con ciò intendendo due cose: primo, che fare l’esperienza è prioritario al mostrarsi in pubblico, secondo, che è opportuno parlare di cose che si conoscono direttamente. Animato da cotanto proposito, azzardo qualche riga.

Da alcuni mesi il nostro sommelier AIS matr.109743 (cioè io) ha trasferito l’attività a Mindelo, capoluogo di São Vicente, isola di Cabo Verde, ove con la di lui signora (chef) ha aperto una pensione-bonsai. Pensano di lavorare in piccolo e con stile. Da undici anni la gestazione di questa attività, che è anche un progetto di vita, ha richiesto un viaggio all’anno sull’isola, ex colonia portoghese, che come effetto collaterale ha prodotto una certa conoscenza dell’enogastronomia locale.

A ulteriore riprova del fatto che l’abbinamento mangiare-bere è un fondamento imprescindibile della cultura del sommelier, inclusi e oltre i confini della sopravvivenza biologica, ricorda che nel mondo le diverse abitudini alimentari implicano diversi costumi in fatto di bevande, con ciò intendendo non solo il cosa mangiare e bere, ma anche il come e il quando e non da ultimo il con chi. Tranne nelle aree metropolitane, dove lo stile di vita industriale imbandisce tavole tutte sue, quasi ovunque le abitudini alimentari sono ancor oggi guidate dal clima, dalla natura dei luoghi e dagli usi sociali. Ecco quindi che, grazie al naso fuori casa e all’occhio ben aperto, il nostro sommelieremigrante offre al lettore l’occasione di assaggiare un bocconcino di Atlantico tropicale. Procediamo con ordine: il territorio, il cibo, il bere, i riti.

Dieci isole in mezzo all’oceano, sulla rotta dei venti alisei, che donano inverni caldi (ma senza tifoni) ed estati moderate (senz’afa), un ritmo di stagioni diverse da quelle europee, da novembre a giugno periodo asciutto e ventilato, da luglio a ottobre periodo umido e ventilato, temperature mai sotto i ventidue gradi sulla costa, mai sopra i trentadue nei giorni più caldi. Praia, isola di São Tiago, è la capitale della repubblica, e raccoglie quasi metà della popolazione dell’arcipelago (un casino, sembra di stare in africa), Mindelo, isola di São Vicente, dell’arcipelago è la capitale culturale e il porto principale, un’altra musica. Dieci isole geologicamente giovani, una diversa dall’altra, alcune brulle piatte e saline, come Sal e Maio, alcune aguzze di rilievi basaltici e percorse da ribeiras lussureggianti, come Santo Antão, africane ed europee allo stesso tempo, popolate da due etnie: creoli (85%), a conferma che dall’incrocio dei popoli nasce la bellezza, e bedju (15%), a testimonianza che la fine dello schiavismo può lasciare comunque una traccia permanente. Due etnie che convivono e si incrociano, presenti in tutte le classi sociali come anche nella cucina tradizionale. Il piatto nazionale, la catchupa, ha una versione creola e una bedja. Trattasi di una zuppa asciutta di legumi insaporita da carne suina e verdure, che assume diverse declinazioni a seconda del cuoco e delle disponibilità in dispensa, di cui le più popolari sono la catchupa guisado com ovo strelado (saltata in padella e sormontata da omelette alle erbe) e la catchupa rica (arricchita da chourizo, ovvero salsiccia fumé a pasta fine, e spezie). Abbinamento proposto nei locali locali, cioè nei bar del posto: cerveza, birra. Abbinamento proposto dal nostro agente a Mindelo: vinho tinto, necessariamente portoghese e poi vedremo perché, più o meno giovane e abbastanza duro, servito fresco cantina. La digressione è sputtanatamente mirante a introdurre l’argomento bevande.

A Cabo Verde si beve tantissima birra (industriale, le artigianali sono merce ignota), abbastanza vino rosso, poco vino bianco, scarsissime bollicine, un paio di rosè che languono sporadicamente sugli scaffali delle mercearias. Un capitolo a parte meritano i liquorosi, cioè il Porto, e i distillati, principalmente grogue e whisky (blended ma di qualità), molto apprezzati e non solo nelle lunghe notti di svago. Il vino in questa ex colonia portoghese è quasi monopolizzato dalla ex madrepatria, ma l’offerta è assai varia e va dall’equivalente lusitano dei tristi famosi brick italici (per non dir la marca), di poco prezzo e nessuna qualità, a una classe media apprezzabilissima per rapporto costo-qualità in cui brillano molti vini delle doc Douro e Alentejo, a punte di eccellenza, come Quinta do Carmo e Casa Ferreirinha, ma sempre con prezzo accessibile. Te le sogni le bottiglie blasè, o sedicenti tali, acquistabili previo mutuo ipotecario e solo in un paese ricco… a Mindelo, dall’estero lo scaffale offre qualche Marlborough di pregio, qualche splendido Riesling renano o alsaziano, financo i Malbec cileni. E il belpaese? La sua delegazione commerciale enoica consiste in una singola sconosciuta casa di lambrusco igt, però sia bianco che rosso! Dulcis in fundo, a un prezzo abbordabile (6-7 euro) è stappabile il vino caboverdiano, dal corpo possente e dai profumi lievi, lo Châ da Caldeira, prodotto sull’isola di Fogo, un cono vulcanico che si erge dall’oceano fino a duemiladuecento metri e sul quale la vigna si coltiva ad alberello e ad altitudini inimmaginabili in Europa. Strano a dirsi per un clima caldo dodici mesi all’anno, le preferenze locali vanno sempre ai rossi di corpo di gradazione alcolica importante, anche perché, nonostante nell’arcipelago il pesce ogni dì abbondi, la cucina di terra qui è la regina delle mense. Per un corretto abbinamento, il servizio del vino impone una sistematica refrigerazione, il che lo rende ancor più gradito, anche negli aperitivi.

Dire aperitivo a Mindelo è riduttivo. Buona parte dei riti collettivi si svolgono in occasione dell’incontro con un conoscente, ad ogni ora, e si manifestano in strada, nelle esplanadas (bar all’aperto o con patio esterno), davanti casa perché la pracinha, lo spiazzo antistante l’uscio, è un prolungamento dell’abitazione ed è luogo di accoglienza, di chiacchiera serale, di convivio. Per strada incontri un amico, e come a Napoli gli offri il caffè, a Mindelo puoi goderti una freskinha, ovvero una birretta che accompagna una bafa cioè un boccone, oppure nel pomeriggio un distillato, sempre accompagnato da bafinha. Se hai fatto conoscenza con qualcuno e lo vai a trovare a casa, l’accoglienza sarà la stessa che per strada, con una variante importantissima: a casa ti possono offrire non solo una birretta ma il grogue o il pontche; il primo è un distillato di canna da zucchero, somigliante al rum agricole delle Antille in meglio, in versione artigianale, prodotto solo a Santo Antão e a São Nicolau dove si coltiva la cana sacarina, e ogni mindelense seleziona ed esibisce il suo, magari di famiglia poiché l’emigrazione interna è fatto quotidiano. Il pontche è la versione dolce del grogue, cui vengono aggiunti miele di canna, scorze di agrumi o frutta locale, erbe aromatiche, e ogni famiglia ha la sua propria ricetta. L’isola conta settantamila abitanti, circa dodicimila famiglie: ci vorrà il resto della vita per provare tutto il pontche di São Vicente. Basta non avere fretta.

I mindelensi vivono operosamente divisi tra morabeza e sodad (tradotto in forma riduttiva: buon vivere e nostalgia), mediamente poveri ma dignitosissimi, anche perché Cabo Verde è una grande diaspora, mezzo milione abita nell’arcipelago, un altro milione e mezzo risiede sparpagliato tra i cinque continenti. Un popolo di emigranti, di trasvolatori, di navigatori… ma questa storia l’abbiamo già sentita, sentita e dimenticata in fretta. Dalla loro i residenti hanno una spiaggia urbana, Laginha (a due passi dalla pensione-bonsai del nostro sommelier), degna di Copacabana ma senza il casino né l’edilizia di quest’ultima, e una tradizione musicale di grande spessore, che si lega allo stile di vita. La morabeza è messa in musica dal funanà (ritmo scatenato e melodia) e dalla coladera (melodia e base ritmica da ballo serrato in coppia); la sodad trova celebrazione nella morna (versione mindelense del fado portoghese), le cui splendide voci sono quelle di Lura, di Maria Andrade – Cordas do Sol, di Cesaria Evora e di Ildo Lobo. Il bello della colonna sonora mindelense è che non rimane confinata in concerti e concertini ma si gode nelle festività (tante!), nel carnevale, nelle ricorrenze locali e nelle notti, nelle strade, nelle fiere di campagna. Anche per accompagnare i defunti al cimitero suona la banda, e il trapasso si carica di nostalgia e rimpianto per chi rimane. Vien da pensare che al funerale pianga il morto ancor più di chi, pur piangendo, lo accompagna. Infatti sull’isola si vive a lungo, pur essendo piena di gioventù. Che sia perché spesso si incontrano giovani e anziani che ridono insieme?