dsc_3127Di Roberta Porciello

Strana questa cosa dei viaggi, una volta che cominci, è difficile fermarsi. È come essere alcolizzati!!!!” Viaggiare arrivando dall’altro capo del mondo a circa 16621.28 km da casa porta con se affascinati avventure, faticose giornate e scoperte interessanti. Da quando siamo arrivati nel “nuovo mondo”, nell’altro emisfero dove la cultura e le tradizioni non sono proprie di questa terra abbiamo dato risposta dalle nostre innumerevoli domante [classiche prima di un lungo viaggio] “ma cosa si mangia in Australia?” o addirittura “ma come si mangia là?”, “che ne pensi se portiamo qualcosa da qui?”. Ed anche su questo l’Australia ci ha affascinato e stupito; nuova l’espressione di “Modern Australia”, nata per indicare tutti quei piatti di ispirazione italiana, francese o asiatica ma rivisti in stile “made in Australia”. In giro per la metropoli del Nuovo Galles del Sud: Sydney con i suoi grattacieli, strade ampie, grandi spazi e il suo centro The Rock costruito con palazzotti a due piani di mattoncini rossi, piccole stradine e deliziosi angoli. Passeggiamo in una delle baite più belle al mondo, il sole sta calando, le luci dei grattacieli sono ancora fioche ed il ponte comincia ad animarsi questa è meat-and-wine-co.-skewerDarling Harbour. La fame inizia a farsi sentire, le gambe fanno “giacomo giacomo” e il pancino inizia a borbottare. Ci guardiamo intorno, siamo alla ricerca di un ristorante che la receptionist dell’albergo ci aveva consigliato “The Meat & Wine Co“, ed è fatta, si mangia! Scegliamo la specialità della casa: Espetadas (un mega spiedino alla brace), un Angus con cipolla e peperoni servito con le immancabili patatine fritte [forse il vero piatto australiano ☹]. E poi domanda retorica …da bere?????. Il “Beverage Menu” è molto ricco,dai cocktail ai vini, divisi per tipologia di vigneto, ce n’è per tutti i gusti; noi stasera scegliamo uno Shiraz della zona di Heathcote, nel centro di Central Victoria, annidato sotto l’McHarg e le Montagne McIvor. Rimaniamo un po’ attoniti e un po’ scettici quando il sommelier si avvicina al tavolo e ci presenta la bottiglia e come per una bottiglia d’acqua, d’olio, di aceto, senza cavatappi e il suo verme, senza capsula, ruota facilmente il tappo …ed è fatta …ma la “magia”, che mi ha sempre affascinato fin da quando piccola vedevo il nonno che con il suo tirabusciò apriva la bottiglia di vino come un rito tutte le sere,dov’è finita? Un Armchair Critic Heathcote Shiraz 2009 con tappo a vite, un anno di affinamento in acciaio e due anni in botti di rovere francese. Un vino di carattere e complessità; al 20130101_110805naso le bacche scure, sottobosco e un sentore evidente di spezie; alla vista un colore rosso rubino con sfumature violacee; prima di un palato emozionante, audace di frutti neri adagiati su un letto di tannini definiti, consistenti ma mai eccessivi. Un finale secco e particolarmente lungo. Una piacevole sorpresa: un vino equilibrato, nello stesso tempo con un suo carattere definito e una buona complessità. Finalmente dopo qualche passo falso, molti pranzi mordi e fuggi, l’assaggio della carne di canguro, l’incubo della salsa barbecue e l’acquisto sbagliato del vino analcolico per un aperitivo al tramonto, riusciamo a mangiare e bere veramente bene,senza contrasti eccessivi né sapori predominati. Facciamo nostra e condividiamo la frase di Hemingway “Il vino è uno dei maggiori segni di civiltà nel mondo”.