ritorno all'argillaDi Marina Ciancaglini

Un materiale naturale quello dell’argilla, che sin dall’antichità, ha avuto tra i vari usi anche quello di contenitore per il vino ma che nella storia enologica contemporanea si sta riaffermando sia come contenitore di affinamento, in sostituzione alle botti di legno, ma anche per la fermentazione. Della sperimentazione in cantina e delle caratteristiche dei vini prodotti in argilla si è parlato durante il convegno-degustazione “Ritorno all’argilla”, ospitato nella Tenuta Rubbia al Colle, a Suvereto, della famiglia Muratori, lo scorso 15 ottobre. In questa occasione si è voluto fare il punto sull’uso di questo materiale, usato sia come anfora sia con altre forme, le cui caratteristiche sono il controllo delle temperature, soprattutto se i contenitori vengono interrati, e dell’ossigenazione e soprattutto una minore caratterizzazione olfattiva rispetto al legno.
I vini in degustazione, raccontati da Luca Gardini e introdotti dai produttori, con stili e provenienza geografica di diversa, hanno evidenziato uno stile di ricerca della qualità che non prescinde da una ricerca di naturalità, sia in vigna che in cantina.
Note di degustazione:
Caposonato – Vinicola Savese (Sava, Ta). Un Primitivo di Manduria prodotto dall’assemblaggio di due differentiPithos e Morei annate (’84 e 85), lasciato riposare sotto la terra per circa 30 anni nei “capasoni”, tradizionali contenitori in terracotta da 230 e 270 litri e imbottigliato nel 2012. Il vino è complesso, da meditazione, in continua evoluzione nel bicchiere, ha note di pepe, zenzero, confettura di prugne, man mano rivela sentori di tabacco da pipa e liquirizia. Il finale riporta una discreta acidità a bilanciamento di un attacco dolce.
Pithos Rosso 2012 – Azienda Agricola Cos (Vittoria, Ra). Una delle aziende che fanno parte della rinascita dei vini siciliani produce questo blend di Nero d’Avola e Frappato, vinificato in anfora con lieviti indigeni. Una sperimentazione, quella dell’anfora, che ha raggiunto la sua 14° vendemmia, unita alle pratiche della viticoltura biodinamica. Pithos, vinificato in giare da 400 litri, si presenta al naso con una bella balsamiticità, richiamata in bocca da note salate e di cappero.
Teroldego Morei 2010 – Foradori (Mezzolombardo, TN). Una grande donna del vino Elisabetta Foradori, che da anni lavora con le anfore, all’interno di un più ampio progetto di viticoltura biodinamica e di ricerca dell’espressività del terroir. Anche questo vino fermenta e si affina in giare. Un Teroldego elegante, com’è lo stile Foradori, che si esprime olfattivamente con piccoli frutti rossi e grafite, per svilupparsi sul palato con una vibrante acidità e freschezza.
Barricoccio® 2010 – Tenuta Rubbia al Colle (Suvereto, Li). La tenuta toscana della famiglia Muratori ha messo in campo un Sangiovese in purezza affinato in barrique fatte completamente con l’argilla, ottenute dopo varie sperimentazioni, al fine di eliminare lo scambio tra vino e ossigeno (la “barrique” è rivestita di cera d’api, quindi impermeabile) e la cessione dei tannini del legno. Un vino mediterraneo, con note di timo e alloro ma anche floreali, in bocca è semplice e fresco.