Di Fabio Cimmino

Vignaiolo anarchico, verace, profondamente legato alle Langhe e alla loro storia. Diploma in chimica e ’68 sulle barricate, contrario agli OGM, ostile alle mode e alle modernizzazioni che offuscano la bellezza ed il fascino naturale del “nebiolo” con una sola “b” come ama chiamarlo lui. Si autodefinisce “una persona datata, ma anche maledettamente curiosa”. Cultura, amore, passione, fatica, perseveranza segnano il suo percorso verso una nuova idea di tradizionalismo contadino, consapevole e maturo. Come ha scritto l’amico Luigi MetropoliTeobaldo ed Augusto Cappellano esplorano quell’area di contiguità tra il fatto naturale e quello culturale, inaugurando un dialogo permanente“. La ricerca di un equilibrio naturale, della purezza interiore attraverso la diversità espressiva di ogni annata, seguendo una precisa e semplice regola: non intervenire ma assecondare. Come? Abolendo la chimica, facendo crescere i capi senza cimarli, praticando inerbimenti perenni e lasciando esprimere la vigna. Nei 3 ettari dello storico vigneto Gabutti (insieme al Rionda e al Marenca considerato da Baldo lo zoccolo duro del terroir di Serralunga) pratica un’agricoltura antica che guarda al futuro. Per la maturazione di solito si affida alle api: “laddove suggono le api o beccano i fagiani, lì l’uva è matura. In cantina, macerazioni prolungate e lieviti indigeni, poi botti grandi e lunghi affinamenti, per uscire sul mercato in genere più tardi rispetto alla media.” Nel 1989, la sfida delle sfide, il tentativo estremo ed esaltante di collegare passato a futuro, l’idea pazza di ricreare il barolo che fu: l’impianto di nebbiolo su piede franco, ciò che darà origine più tardi al ricercato, emblematico, seducente Barolo Gabutti Pié Franco, da uve nebbiolo della varietà Michet”. Sono state, invece, cinque annate del suo Barolo Otin Fiorin Piè Rupestris a guidarci alla scoperta di questo personaggio straordinario, di una terra unica e di quella che può considerarsi una vera e propria filosofia di vita. Un Barolo umorale, granitico, tenace. Nelle note che seguono non troverete alcuna valutazione o punteggio nel rispetto della volontà del produttore riassunta da quanto egli stesso rivendica orgogliosamente in retroetichetta: “A chi di Guide si interessa: Nel 1983 chiesi al giornalista Sheldon Wasserman di non pubblicare il punteggio dei miei vini. Così fece, ma non solo, sul libro Italian Nobile Wines scrisse che chiedevo di non far parte di classifiche ove il confronto, dagli ignavi reso dogma, è disaggregante termine numerico e non condivisa umana fatica. Non ho cambiato idea, interesso una fascia ristretta di amici-clienti, sono una piccola azienda agricola da 20 mila bottiglie l’anno, credo nella libera informazione, positiva o negativa essa sia. Penso alle mie colline come una plaga anarchica, senza inquisitori o opposte fazioni, interiormente ricca se stimolata da severi e attenti critici; lotto per un collettivo in grado d’esprimere ancor oggi solidarietà contadina a chi, da Madre Natura, non è stato premiato. E’ un sogno? Permettetemelo“.” Teobaldo

Vigna Gabutti Otin Fiorin Rupestris Cappellano 2004
Il più giovane della serie. Nell’età ma soprattutto nelle sensazioni. Molto chiuso e   sostanzialmente indecifrabile fin dalle prime nasate. Solo al termine della serata si riuscirà ad intravedere qualcosina. Da riassaggiare, con calma, tra qualche mese.

Vigna Gabutti Otin Fiorin Rupestris Cappellano 2001
Anche quest’annata ostenta una chiusura iniziale non indifferente. Anche se ogni volta che il naso si riavvicina per tuffarsi nel bicchiere si apre una piccola finestra dalla quale si riesce ad intuirne la fascinosa bellezza. Sempre diverso sempre uguale a se stesso. Profumi eleganti e delicati di fiori rossi dal respiro balsamico si adagiano su uno sfondo terroso di fulgida mineralità. Al palato i suoi tannini sono il classico pugno in guanto di velluto. L’acidità viva e scattante. La progressione incredibile porterà questo Barolo a fine serata in uno stato di grazia assoluto. Bottiglia dalle incredibili potenzialità. Emozionante. Da farne scorta in cantina.

Vigna Gabutti Otin Fiorin Rupestris Cappellano 2000
Millesimo dall’animo più femminile almeno a sentire l’apprezzamento unanime del gentil sesso presente in sala. A dire il vero anch’io ho goduto e molto nel bermi questo nobile rosso. Il vino ha una complessità compiuta, un profilo più aperto ed ampio pur senza perdere mai di vista un rigore ed un’austerità autenticamente barolesca. E’ l’esemplare sicuramente più pienamente godibile della batteria. Nel bicchiere si coglie già qualche primo accenno terziario di cuoio e tabacco. Al palato mantiene un sottile ed apprezzabile equilibrio tra acidità, sapidità e tannini. Il finale è persistente, lungo ed appagante.

Vigna Gabutti Otin Fiorin Rupestris Cappellano 1998
Non sono riuscito ad amare fino in fondo questo campione. Un sensazione dolce iniziale (di fiori più che di frutta dolce) a tratti quasi caramellata mi ha infastidito a lungo. Vero è che dopo quasi tre ore di ossigenazione era praticamente scomparsa ma qualche dubbio rimane. Il vino coferma questa sua incostante mancanza di risolutezza anche al palato dove sembra soffrire di una scompostezza ancora in divenire. Sia ben chiaro si beve che è un piacere non meno degli altri ma ne soffre, a mio avviso, l’inevitabile confronto.

Grandissimo finale con il mitico Barolo Chinato. E’ stato proprio un Cappellano ad inventarne la ricetta miscelando sapientemente il Barolo (di quello buono) con china calissaia ed un riuscito mix di numerose erbe aromatiche e spezie secondo una formula rigorosamente segreta. Il vino si presenta di un rosso rubino più intenso al cuore del bicchiere mentre degrada ai bordi in sfumature delicatamente rosate. E’ un’esplosione di profumi speziati e balsamici di cioccolatino alla menta, di cannella e vaniglia, di rabarbaro e liquirizia, di china ed anice. In realtà si potrebbe andar avanti per ore a cercarne tutti i descrittori olfattivi tale è l’interminabile sfilata di sensazioni che si susseguono senza tregua al naso. Il sapore è rotondo, armonico, con un finale solo lievemente amarognolo ben bilanciato dal residuo zuccherino. Straordinariamente piacevole ed allo stesso tempo profondo e complesso. Elegante ed equilibrato in tutte le sue parti: dolcezza, freschezza, sapidità. Lascia il palato  asciutto e pulito. Un’esperienza sensoriale davvero indimenticabile. Quintessenza liquida da centellinare abbandonando i sensi.