Di Luca Massimo Bolondi

tesi: la degustazione sta al giudizio divino come il barbiere sta alla sibilla cumana

In queste brevi note, forse velate di vis polemica ma de core, si vuole dimostrare quanto sia meglio una vita da umile discente che una carriera da intenditor saccente. Se aspirate a vestire i panni di un autorevole gitante che, con in spalla uno zaino di opinioni e giudizi, fa trekking sulle vette del vino e parla della montagna come cosa sua, allora chiudete pure questa pagina e attenti ai precipizi. Se invece sognate uno sherpa che, silenzioso tranne quando serve, a quelle vette dedica la vita e (guarda caso) sopravvive alle tormente di neve, per voi è tracciato l’erto sentiero che segue.

Uno: dio ci scampi dal dono di natura

 Aspiranti ma anche effettivi, i sommelier sovente mostrano idee non proprio chiare e opinioni divergenti assai sulla degustazione dei vini, intendendo spesso l’arte di gustare come una gara dell’ardimento nella descrizione dei profumi e delle apparenze. Definire i sommelier come “saccenti del vino” è in questo caso il triste ma naturale epilogo di un tiro a segno non privo di giustificazioni, prima fra tutte la pericolosa affermazione che arte, scienza e comunicazione non vanno insieme. Eppure, mai come nel tempo moderno chiamato anche l’era della comunicazione, in molti campi del sapere la scienza alimenta l’arte e viceversa. Un esempio di scienza che alimenta l’arte: “le immagini della scienza” di John D. Barrow (Mondadori ed.). Due esempi di arte che alimenta la scienza: “la teoria dei colori” di W. Goethema non era solo un poeta romantico?- e “lezioni americane” di I. Calvino (Einaudi ed.). Giusto tres inter paribus, perché ne abbiamo biblioteche intere… Cari colleghi, in pittura e nelle arti in genere molti affermano di capirne e pochi sanno dare di un quadro una buona lettura critica. Vien da invidiare l’anima semplice che davanti a un Kandinskij rompe il silenzio per confessare, boh non so che dire è bello ma non ci capisco nulla.

Bene, la consapevolezza dell’ignoranza è sempre un buon inizio, se alimenta la passione di apprendere. E dio ci scampi da chi crede che una predisposizione naturale possa fare da sola. Mozart stupiva fin da bambino, ma fin da bambino il precettore gli faceva una testa così su scale e spartiti. L’esercizio critico dei sensi e dell’intelletto costano fatica: preparazione e disciplina, altro che gaudenti fantasiosi edonisti o ancor peggio capricciosi sentenziatori arbitri del gusto. Rivediamoci insieme Ratatouille, che è uno spasso di film e ridendo castigat mores mandando a gambe all’aria qualche Ministro dei Temporali. È comprensibile che l’entusiasmo ci muova alla stima del vino, è incomprensibile che un’analisi critica si compia senza l’affilato strumento dei sensi e un’appassionata oggettività. Lasciamo quindi fuori della porta i condizionamenti, il riverbero fascinoso delle etichette, l’ansia di enoico protagonismo, e impegnamoci a degustare.

Due: usare i sensi come un rasoio

Per fare un buon degustatore ci vogliono un buono studente e un buon professore, visto che si tratta di alta formazione. Con assoluto sbilanciamento verso la qualità dello studente, perché un bravo professore impegnato con un ciuccio, magari disattento e presuntuoso, butta sudore e non ottiene un granché, mentre un cattivo professore prima o poi verrà inesorabilmente sostituito e lo studente proseguirà la sua crescita in altre scuole, con altri maestri. Ecco, quando si tratta di formazione “superiore” capita che sia lo studente a legittimare il professore. Come in un libero mercato, se vi è un’offerta inadeguata alla domanda qualcuno perderà quote clamorosamente a vantaggio d’altri, mentre se vi è una domanda espressa prima o poi troverà l’offerta che la soddisfi. Partiamo quindi dalla domanda didattica.

Per farsi buon degustatore forse val lo sforzo di non smettere di porsi domande, come funziona la chimica della percezione gustativa, come ci si può orientare con l’uso della vista dell’olfatto e del gusto-tatto tra i segnali che offre il vino, come distinguere i singoli componenti sensoriali e poi come apprezzarne la fusione, spesso in sensazioni difficili da decifrare, e altro ancora. Ecco che in soccorso giungono metodi e principi di analisi sensoriale e sintesi critica, per trasformare la vaghezza dei sensi nella nettezza lucida delle percezioni. Non è un caso che le strutture didattiche (pubbliche e private, universitarie e delle associazioni di sommelier) hanno fatto un gran lavoro di sistematizzazione in modelli anche visivi, quindi meglio memorizzabili, del processo di degustazione e dei suoi risultati. Ma tutto questo non ha esito se non vi è al centro un soggetto sensibile, attento, magari colto, motivato e partecipe. Povero il professore che vaticina all’aula come una sibillacumana davanti a un bicchiere. Ben vengano maestri rigorosissimi-appassionatissimi e studenti curiosissimi, esigenti, con l’aspettativa di affilare le capacità analitiche come lame. Con il desiderio di condividere la conoscenza e mostrare le abilità acquisite si progredisce comunicando, perché un piacere in solitaria è un mezzo piacere.

 Tre: che gusto c’è a farlo da soli?

Un degustatore senza convivio è come un solitario alle carte. Omissis. Un degustatore senza altri degustatori a confronto rischia l’effetto sibilla, alla lunga. Incontrarsi, confrontarsi, crescere insieme. Aspirare a volare alto, a immergersi al profondo, a scorrere la vastità del territorio del vino. E trovare preparatori all’altezza dai quali partire per un atletico percorso.

Come nell’atletica: a scuola si fa qualche ora, buona per evitare il rachitismo. Poi ci sono le palestre private, luogo di crescita ma anche di interessi e deviazioni le più varie. Poi ci sono le strutture di alta formazione, nell’atletica italiana ormai confinate sotto insegne militari, dove altrove si crea un campus, luogo in cui possono confluire esperienza e conoscenze unendo l’informale al disciplinare. Quanto sarebbe utile, quindi bello, che dalle costole dei corsi il dio dei sommelier generasse una creatura votata all’alta formazione della degustazione.

Quindi…

La degustazione sta al giudizio degli autoproclamati dei del vino come il barbiere, bravo col rasoio, sta alla sibilla cumana, brava solo con le parole. Quod demonstrandum erat.