Di Michela Guadagno

Che freddo! Esco dalla macchina, con le mie scarpette cittadine vado male, succede che sabato 8 novembre verso le 5 del pomeriggio arrivo a Serino. Mentre tutti gli altri sono impegnati a Napoli a Città del gusto per la degustazione dei vini dell’Almanacco del Bere Bene del Gambero Rosso, io sono qui. Che ci sono venuta a fare? C’è un convegno sulla Castagna di Serino, la chiesa che ospita la manifestazione ha una bella storia, la racconta il giovane parroco, un’alluvione travolse il paese lasciando integro solo l’altare dedicato a S. Antonio, e così nel ricostruirla le è stato dato il nome del Santo. Introducono le autorità locali, sento parlare di Porta dei Sapori, Serino è la quarta porta dei Monti Picentini, si parla di boschi, di castagne, di funghi, di ambiente. Enzo Falco (….aah, ecco perchè….!) vede il cibo come fattore di identità di un popolo: “dimmi cosa mangi e ti dirò di dove sei“, e in effetti ha ragione, stiamo smarrendo l’attenzione alla natura e all’identità dei territori, l’evoluzione della cucina a volte non tiene conto delle tradizioni del prodotto locale. E invece una cucina di tradizione è quella che ci aspetta la sera ad Aiello del Sabato, nella sala interna del bar Al Cielo Azzurro dove Antonio e Lello stavolta si sono inventati una degustazione di 10 sali (in realtà ne conto 11, poi vi dirò perchè) da abbinare a una cena a base di bolliti. Antonio esordisce parlando di lessi: il lesso non va visto solo come aggettivo di sciocco (e non so perchè a questo punto guarda me…), ma anche legato ai sapori che restano tali, non confusi dalle cotture e dai condimenti. E qui vediamo i sali disposti in vassoi sul bel tavolo imperiale apparecchiato di blu e oro, illuminato dalla luce delle candele, come centrotavola pentole di rame, molto suggestivo. Ho segnato i sali in ordine sparso, c’è il sale nero di Kala Namak dall’India, quello rosa dell’Himalaya, il rosso Alaea dalle Hawaii e anche il nero Hawaiano dove nell’essiccazione viene utilizzata lava; c’è il sale affumicato Noce di Durango dagli Usa e un’altro affumicato al legno di melo, un sale rosa di fiume australiano, e il sale di Cervia aromatizzato sia alle erbe di Romagna sia alla salvia, è un regalo del Presidente Nazionale Terenzio Medri, per questo ne conto uno di più. Questi tipi di sale vanno considerati come spezie e abbinati ai cibi per affinità gastronomiche, qui li proviamo su fette di patate lesse. E il Fleur de sel de Camargue, ottenuto dalla schiuma del sale che viene spinto nelle vasche di decantazione e raccolto subito, ha un aspetto di spine croccanti, come fa notare Mimma Lanzetta che insieme a Sabino Della Sala nei loro viaggi da gourmet si sono appassionati a questo elemento della natura. Quest’estate sono stati a Marsala, e da lì hanno portato i Soffi di sale da fior di sale trapanese, assemblati in chicchi più grossi, con tenore salino più persistente, al cloruro di sodio è stato addizionato magnesio, va usato in quantità inferiore; ci raccontano dei bei cromatismi delle vasche per l’effetto di alghe, e dei “pesci spazzini” simili alle vope, che vivono nelle saline. Al momento di cominciare la cena la mia pressione arteriosa già innalzata dal quantitativo di sale assaggiato, ha uno choc: il vino viene servito da Antonio in persona, e non c’è scuola migliore di questa, credetemi. E senza piaggeria. Gli dà una mano Lello, i fratelli Del Franco esprimono la cura che hanno per i loro amici seduti intorno al tavolo: Gaetano Esposito, Angela Scianguetta, Mimma e Sabino, due coppie di Aiellesi Antonio Carullo e Ciro Arena con rispettive signore, Donato Falco ed Enzo, Gianluca Festa, Donato Di Zenzo. Il primo assaggio è una mortadella della Val di Non di carne suina avvolta nella “retina”, salata e affumicata, selezionata da Mario Laurino fornitore di carni che ci raggiunge più tardi. Poi ravioli di ricotta di Montella in brodo misto dove il brodo di gallina riporta a sapori e ricordi di una volta, la mia curiosità è nell’abbinamento “famigerato” da tanti corsisti con il brodo, cosa beviamo su questo piatto? Il dubbio stasera rimane tra un vino prodotto da uve catalanesca, di cui Antonio non rivela l’origine, e il Nozze d’Oro 1996 di Tasca d’Almerita, originale blend di Inzolia e Sauvignon Tasca,  voluto dal Conte “omonimo” per festeggiare i suoi 50 anni di matrimonio. Il Pinot nero 2002 vigneto Mazzon dell’azienda altoatesina Gottardi presentato da Lello è altrettanto nobile quando lo beviamo, e ci accompagna al piatto di bollito misto. Prima però le salse: una mostarda di frutta composta da Mimma di cipolle e arance, e un’altra preparata da Antonio con fichi, mele cotogne, pere selvatiche e uva; un’insalata russa al cetriolo dove le verdure sono sminuzzate piccolissime; cipolle ramate di Montoro al vino cotto del Cielo Azzurro; salsa verde con olio extravergine di oliva; per contorno purea di patate. E arriva la carne: lingua, coperta, musetto, “pezzi anatomici” gustosi e saporiti, un piatto che riscalda le mie guance arrossite. O è altro? Sul bollito Antonio apre e decanta “con charme” Amarone della Valpolicella Brunelli del 1997, la bottiglia ha il formato di 500 ml. E poi un formaggio a latte misto di mucca e pecora laticauda di Montecalvo e Casalbore, accompagnato da confettura di “friarielli”, i peperoncini verdi. Per dessert due biscotti di pasta frolla impastata con la sugna al posto del burro e cannella: uno a forma quadrata con crema di castagne e castagna candita, e l’altro a forma tubolare farcito di marmellata di amarene del suo giardino. I distillati: acquavite alla mela per le signore in bicchieri a forma di giglio, e Calvados per i signori in bicchieri a forma di tulipano. La serata volge al termine, l’appuntamento è per la prossima, in certe circostanze in compagnia di altisonanti presenze divento un po’ più controllata, meno “scugnizza” del solito. Ah, l’amour……le lendemain le silence s’en prend à la fragilité du mon courage……. S. Anto’ pensaci tu!