Di Mauro Illiano

Quando si accostano due mondi bisogna procedere con cautela, trovare quei segnali, quelle tracce in grado di stabilire dei punti di contatto.

E’ con l’atteggiamento dello speleologo, dunque, che bisogna approcciare alla ricerca delle origini e delle similitudini di due pianeti.

Durante l’ultimo viaggio in Honduras, il destino mi ha messo dinanzi a una discussione in cui sono intervenuti Andrej Godina (caffesperto, trainer autorizzato SCA, Presidente di Umami Area), Sandro Bonacchi (trainer SCA, titolare Oriental Caffè, socio UMAMI Area Honduras), Ferdinando Salemme (Patron Abraxas Osteria, Inventore Fresh Wine) ed io.

Si è parlato di Vino e Caffè, ovvero delle storie di due universi a confronto.

Per meglio rendere l’idea di quanto sia stato detto, riporterò testuali parole di ogni singolo partecipante alla discussione.

A mio avviso raramente si è andati in profondità sull’argomento così come è avvenuto il 30 Novembre 2019 sulla strada tra Copan e San Salvador.

Ecco a voi dunque il discorso integrale:

Argomento n. 1: Complessità e differenze tra Vino a Caffè

ANDREJ

Caffè e vino, iniziamo a dire che hanno alcuni aspetti comuni, ma filiere ben differenti. Sai, pensando ad esempio solo alla fase finale, la bottiglia del vino la stappi e la versi, facendo attenzione magari alla temperatura. Il chicco, fino alla fine, quando lo devi preparare, è necessario macinarlo, bisogna scegliere il metodo di estrazione, decidere la temperatura dell’acqua di estrazione, e tanti altri parametri. Insomma, la bottiglia di vino la apri e la versi, per il caffè è differente, è possibile rovinare la qualità in bevanda fino all’ultimo passaggio di preparazione prima del servizio.

MAURO

Parlando di differenze tra i due mondi direi che è emblematico il fatto che in Italia nessuno conosce una qualità di caffè, a differenza del vino, in cui quasi tutti conoscono almeno un uvaggio, ma spesso anche più di uno…

Il caffè è un’abitudine. Raramente si decide dove andare a prendere il caffè. Se vado a bere vino scelgo la vineria e il vino che voglio, nel caffè non è quasi mai così. Il caffè lo si prende dove ci si trova. Siamo all’anno zero.

Il mondo del vino e la sua cultura in Italia sono stati favoriti dal fatto che in Italia il vino si produce, quindi si realizza l’intero processo, e si ha l’opportunità di coinvolgere quindi i produttori in incontri fisici. Inoltre, spesso, gli avventori conoscono già qualcosa della vigna, dell’uva.

Quanto all’evoluzione del caffè, direi che bisognerebbe valorizzare la materia e la storia che c’è dietro. Quando si conosce e si trasmette la storia di ogni cosa, le persone, la fatica, il sudore, le strade, beh ci si emoziona di più. Ed il consumatore dovrebbe sapere queste cose.

NANDO

Vi dirò, partendo dal caffè, sarebbe un bene se questo mondo copiasse dal mondo del   vino la necessità di visitare la piantagione, magari creando anche un turismo del caffè, fatto di visite pensate per differenti categorie di appassionati.

Per contro, il vino dovrebbe prendere dal caffè l’approccio scientifico, il tecnicismo. Magari trasformare un po’ della poesia che caratterizza il suo mondo in dati tecnici, abbandonando alcune congetture e la moda dell’etichetta a vantaggio del prodotto tecnicamente valido.

L’intero modulo Sensory Sca si potrebbe usare nel mondo del vino. Basti pensare che per ciò che attiene il vino, spesso, i difetti vengono scambiati per qualità. Ho visto ad esempio muffe o funghi rappresentati come tratti di unicità…

Una cosa di cui il mondo del vino dovrebbe liberarsi è invece la “brandizzazione”, ovvero quel meccanismo perverso in grado di portare il costo delle bottiglie in alto, senza alcuna giustificazione e con l’ulteriore effetto controproducente di falsare il mercato.

Quanto al rapporto tra i due prodotti, direi che, all’esito di questo meraviglioso viaggio in piantagione, posso affermare che fare un buon vino sia più facile che fare un buon caffè. I passaggi nel caffè sono maggiori e più complessi a mio avviso. Partendo ad esempio dal raccolto, quello dell’uva è più semplice, comporta una selezione minore, meno maniacalità nella classificazione. Una raccolta di caffè di qualità, invece, viene fatta drupa per drupa, su terreni improbabili, vi è poi una selezione meccanica, per passare ad una manuale, e a seguire l’essiccazione, la conta dei difetti, e fino alla fine un piccolo elemento può danneggiare il caffè.

 

Argomento n. 2: La Formazione al consumatore finale

ANDREJ

La formazione, così come la diffusione della qualità, è complicata poiché nel mondo del caffè mancano i finanziatori. Almeno inizialmente le grandi organizzazioni ed i torrefattori potrebbero aiutare molto la diffusione della cultura a livello capillare. La stessa Specialty Coffee Association promuove un percorso di formazione variegato che è rivolto ai soli operatori di settore. E poi, consideriamo il fatto che la torrefazione, in realtà, non ha un vero interesse a diffondere il messaggio di qualità del prodotto. Ecco la difficoltà. Consideriamo, ad esempio, che dal 2005, ovvero l’anno in cui la SCA è arrivata in Italia con un’attività di promozione del prodotto di alta qualità, i risultati prodotti sul mercato sono piuttosto modesti: 2 specialty coffee shop a Roma, 2 a Torino, 1 a Napoli, 1 a Pompei. Direi che è un risultato ancora troppo scarso.

Nel mondo caffè in Italia la tragedia è che il torrefattore non ha interesse a fare formazione a causa del fatto che il torrefattore medio svolge un’attività di finanziaria. Mi spiego meglio: generalmente il barista non sceglie il torrefattore in base alla qualità dl prodotto che gli offre ma molto spesso in base alle attrezzature date in comodato e all’ammontare del finanziamento in denaro. Questo corto circuito del sistema espresso italiano non è condivisibile, e, ricordiamolo, è favorito dal fatto che il consumatore non ha informazioni sulla qualità del prodotto e in questo modo non ha elementi culturali per poter pretendere dal proprio bar qualcosa di altro. Se penso al vino ed al mio approccio, beh, mi ricordo che in tutte le cantine che ho visitato sono state accompagnato da personale addetto e/o dal titolare che oltre a spiegarmi il lavoro in cantina e la storia dell’azienda mi spiegava anche i vini: varietà botaniche, caratteristiche del suolo, esposizione dei terroni, peculiarità del micro clima della regione, periodo di raccolta, resa per ettaro, ecc. Infine la degustazione era sempre guidata da un’accurata descrizione delle caratteristiche sensoriali del vino.

Nel mondo della torrefazione che finanzia i bar, una cosa del genere, non è possibile e attualmente sul mercato non c’è se non tra pochissimi operatori virtuosi. E poi c’è l’argomento qualità del prodotto: il torrefattore che produce di caffè di scarsa qualità, se dovesse accompagnare il consumatore in un percorso culturale sulla qualità del prodotto, gli trasferirà un concetto di qualità falsato, ovviamente. La tragedia nella tragedia è che poi quel consumatore, abituato e formato ad apprezzare una bevanda di bassa qualità, quando assaggerà un buon caffè non lo riconoscerà e non gli piacerà.

MAURO

Sulla complessità inerente la formazione nel campo del caffè, sono giunto ad una conclusione: occorre umanizzare l’approccio al caffè. Dietro alle fasi attente di produzione del caffè, infatti, c’è sempre una bevanda di tutti. Tutti hanno diritto a godere. In tal senso la scheda del flavore è come una mano tesa al consumatore medio, un segnale di apertura, per consentire a tutti di capire. Occorre quindi trovare un linguaggio più elementare, dei percorsi rivolti anche agli amatori, ovvero a coloro che intendono avere un approccio meno scientifico. Questo risultato porterà ad un grande risultato, ovvero tutti potranno non solo godere del caffè, ma anche provare a parlarne.

 

SANDRO

Sulla necessità di semplicità del caffè sono d’accordo. Occorre partire dal basso, dal consumatore. Formare anche lui, che una volta formato spingerà poi la domanda in alto godendone in modo più consapevole. Quindi, credo legittimo affiancare ai percorsi SCA dei percorsi per il consumatore, fatti di concetti semplici applicabili a tutte le realtà gastronomiche. Lo scopo è allenare i sensi per discernere il cattivo dal buono. Non a caso insieme ad Andrej abbiamo coniato di recente il concetto di Flavore, ovvero un termine che racchiudesse in se più significati, accompagnato da una scheda di degustazione più elementare e comprensibile dalla maggioranza degli appassionati.

NANDO

Considerando i tempi stretti della ristorazione, direi che ad esempio creare una brochure introduttiva al caffè offrirebbe al cliente un approccio iniziale, per prepararlo alla cultura del caffè. Poi man mano si potrebbe iniziare ad interagire.

La prima cosa da fare, probabilmente, è mettere insieme un team di esperti del caffè che portino il messaggio in giro, sia in bar che ristoranti. Degli aroma tellers itineranti.

Quanto alla formazione tecnica del consumatore, nel mondo del vino le associazioni hanno aiutato molto. Inoltre, il vino da noi ha sempre accompagnato i pasti, e la presenza di alcool ha attratto da sempre tante persone, quindi ritengo sia stato un po’ più semplice.

 

Argomento n. 3: La responsabilità sociale sulla filiera di produzione del caffè

ANDREJ

Questo è un tema a cui tengo molto: oramai dal 2014 viaggio spesso nei Paesi di origine del caffè, recentemente con altri soci abbiamo acquistato una piantagione di caffè in Honduras. Parlare di responsabilità sociale in questo ambito è complesso. Innanzitutto bisognerebbe dire basta alle multinazionali e alle grandi torrefazioni che acquistano il caffè sul mercato di borsa speculando i centesimi di euro al kg e, nei paesi di origine, fanno solo la corsa ad acquistare al prezzo più basso. Noi in Honduras abbiamo pensato e messo in pratica un modello differente. E’ necessario fare formazione allo stesso operatore di settore, bisogna far sapere al consumatore che oggi acquistare un caffè è spesso un atto di ingiustizia sociale che impoverisce i piccoli coltivatori di caffè. Con Umami Area Honduras e la Fondazione ETEA, ad esempio, stiamo pensando di produrre un documentario sul tema sociale del caffè e sulla responsabilità sociale, un film di denuncia sul fatto che le grandi imprese si arricchiscono impoverendo i produttori. Il documentario sarà prodotto assieme ad un importante regista Hondureno, per poter far arrivare il messaggio in modo più chiaro al mondo dei paesi consumatori così anche come nei paesi produttori e far scoprire al mondo quanta povertà c’è dietro la bevanda.

In Italia dovremmo attuare una protesta di massa, tutti i consumatori dovrebbero unirsi per un rifiuto collettivo al caffè che crea povertà. Soprattutto se si conosce la storia dei Paesi d’origine e si è toccato con mano quanto duro lavoro ci sta dietro la produzione di un kg di caffè.

Pensiamoci: oggi è incredibile che il prezzo del caffè al bar sia sempre di 1 euro. Il medesimo prezzo per prodotti diversi, che sia arabica o robusta, una miscela tostata chiara o scura, un monorigine dell’Honduras o dell’Etiopia, un caffè difettato o meno… il prezzo è lo stesso. Questo è assurdo.

Inoltre, è bene ricordare, considerando che stiamo mettendo due mondi a confronto, che il costo del caffè non va confuso con quello del servizio. Nel vino si è arrivati oggi all’idea che quando si ordina un calice in enoteca si paga la qualità del prodotto ed il servizio. Ora stiamo discutendo sul prezzo del caffè al bar, 1 euro per un espresso (in alcune città si trovano dei bar che vendono l’espresso anche a 0,50 euro), prezzo che non consente neanche al barista di far sopravvivere la sua attività commerciale. Per questo motivo quante volte capita di vedere al bar ragazzi assunti con contratto di apprendistato e sottopagati? Questo è uno dei motivi per i quali l’attività del bar in Italia, per sopravvivere, deve vendere anche altri prodotti. Riassumendo siamo partiti da una prima ingiustizia sociale, ovvero il piccolo coltivatore di caffè oggi ci rimette dei soldi a vendere il suo prodotto al prezzo di mercato, così come il barista non è in grado di rendere la sua attività di caffetteria redditizia vendendo solamente caffè ad un prezzo troppo basso. Ecco, un doppio cortocircuito del sistema espresso italiano, una doppia ingiustizia al primo all’ultimo anello della catena. In Italia dobbiamo cambiare! Nei paesi anglosassoni per esempio è normale che una tazzina di buon caffè costa anche 4 o 5 euro, il che permette di dare margini equi di guadagno a tutti, compreso il barista.

L’approccio culturale e quello economico/finanziario del caffè dovrebbe essere lo stesso come quello del vino: se vuoi bere vino tutti i giorni, ovviamente, non berrai dell’ottimo e costoso vino ma un prodotto più economico, così come se vuoi bere 5 caffè al giorno non potrai prendere 5 caffè al bar al costo di 4-5 euro ciascuno, si limiteranno gli atti di consumo al bar ma si opterà per il caffè preparato a casa o in ufficio, in mono porzionato o filtro.

SANDRO

Bere caffè è un atto agricolo ed è bene che si sappia, il caffè nasce nella terra. Il torrefattore non è assimilabile al produttore di vino. Il torrefattore non ha nulla in mano, ha il brand, non ha la terra, non cura il caffè fino a quando gli giunge il verde da trasformare, e trasforma solo parzialmente per giunta. Occorre arrivare a un brand di prodotto, alla tracciabilità ed alla valorizzazione della filiera agricola, non della torrefazione.

NANDO

Dopo questa mia esperienza in piantagione, direi che un espresso di buona qualità dovrebbe costare di più, a patto che tale aumento sia a vantaggio del farmer, la sfida è tutta lì, lavorare sulla redistribuzione.

MAURO

Anche io sono d’accordo nel dire che un espresso di buona qualità, dopo questa esperienza, potrebbe costare almeno il doppio. Ma bisognerebbe guardare “nel” prezzo per capire che la redistribuzione è iniqua. Oggi pago 1 euro una bevanda di cui non conosco nulla, mediocre, servita senza professionalità, piena di difetti. Quindi con un buon prodotto, servito con professionalità, che rispetti tutti gli operatori della filiera pagherei almeno il doppio.

 

Argomento n. 4: Cultura Slow e Cultura Fast

ANDREJ

L’espresso è un’evidenza concreta di una società che ha scelto la modalità “fast”, infatti è una bevanda è di veloce esecuzione e di rapidissimo consumo. Nel vino ci si prende del tempo, si sorseggia, si spende del tempo. Consumare un calice di vino di solito porta con sé una forte componente di socialità. Nel caffè espresso, ad esempio, questo ruolo è molto limitato. Un altro discorso è se parliamo in questo contesto del caffè preparato in filtro, questa bevanda ha molte più similitudini al vino rispetto a quelle che ha l’espresso. Teniamo in considerazione, inoltre, che il caffè a differenza del vino ti consente di poter bere maggiori quantità senza avere effetti gli negativi dell’alcool. Anzi con il caffè si assume caffeina che tiene svegli, stimola la creatività ed il buon umore. Non dimentichiamo che i secoli bui in Europa del Medioevo sono finiti anche grazie alla diffusione della bevanda caffè che pian piano ha soppiantato la bevanda tipica dell’epoca, la birra. V’immaginate un ingegnere o un artista che lavora o crea da ubriaco? In Italia la cultura del caffè filtro, consumato in un formato “lungo”, in tazza da 200 ml ancora manca, ma che speriamo pian piano si diffonda sempre di più. Una bevanda di maggiore volume stimola la condivisione, la socialità, l’utilizzo al lavoro, ed è una scusa per fare due chiacchiere seduti al tavolo. Ecco l’idea di una cultura del caffè “slow”.

L’idea di caffè lento non va confuso con qualcosa di estremamente lento, in fondo viviamo in una società estremamente fast, quindi occorrerebbe mirare a una lentezza che non è nel numero di minuti che passiamo per preparare la bevanda o per consumarla. Una cultura slow del caffè può essere interpretata come piuttosto nel prendersi un momento per sé.

SANDRO

Occorrerebbe inventare un caffè lento, dove tutto ha il suo tempo. L’atto del consumo del caffè dovrebbe passare da rito a piacere, consapevole, fatto di scelta di metodo, di miscela, di prodotto.

NANDO

In effetti il mondo della ristorazione è fast, mentre il caffè di qualità concettualmente merita il suo tempo. A tal proposito credo che i metodi filtro, oppure ad esempio il Syphon, che oltre ad essere slow è anche molto accattivante alla vista, potrebbero essere un’ottima idea per capovolgere le abitudini e convincere i clienti che il caffè buono va anche atteso.

 

Argomento n. 5: Il coffee pairing

ANDREJ

Caffè, vino e food. Tre argomenti che mi hanno affascinato da sempre in particolare per quello che sono in grado di scatenare nelle percezioni dei nostri organi di senso, soprattutto al palato. Quella dell’abbinamento caffè e food è una sfida interessante. Il vino, ad esempio, si abbina ai pasti con degli abbinamenti ormai codificati e percorsi specifici ben determinati. Io credo che si può sostituire al tavolo l’abbinamento vino-food con quello caffè-food. Come è possibile eguagliare l’enorme offerta di vini differenti spesso presenti nella carta dei vini di un ristorante? In realtà non è così difficile, per il mondo del caffè basti pensare alle diverse specie botaniche, le possibili differenti tostature del medesimo caffè, i differenti processi di lavorazione, tutte variabili che darebbero alla bevanda aromi e caratteristiche differenti. Un altro mondo da esplorare è quello dei metodi di estrazione che nella loro diversità sono in grado di offrire profili sensoriali della bevanda differenti usando lo stesso caffè ma estratto con metodi differenti. Fatto sta che, nel futuro, caffè e ristorazione, sono due mondi che avranno molto da dire e che assieme stupiranno i palati più raffinati.

Oggi gli chef, invece di cedere alle lusinghe di sponsorizzazione di grandi marchi di caffè tostato, dovrebbero affrontare la merceologia caffè con dei corsi di formazione e di assaggio della bevanda. Questo sarebbe l’approccio corretto per ottenere ai loro tavoli caffè di qualità migliore e possibili nuovi abbinamenti caffè-food.

MAURO

Questo è un argomento a me caro. Sulla carenza di qualità del caffè nella ristorazione la risposta, triste ma vera, è ancora una volta che il caffè non si conosce. Le persone non hanno idea di cosa ci sia dietro il caffè. E’ un problema di tutta Italia, i metodi non si conoscono, così come le specie ed i profili aromatici.

Si dovrebbe provare a spiegare, creare un percorso, anche perché non è stato mai fatto nel vero senso della parola. Non dico che non ci voglia tempo e studio, ma a mio avviso è una cosa che accadrà. Certamente la semplicità aiuterebbe, poiché consentirebbe al consumatore di apprendere in modo più agevole. Al momento siamo al dato che in ristorazione spesso il caffè si regala, lo si serve solo alla fine ed esclusivamente in espresso. Ma anche io concordo sul fatto che presto o tardi le cose cambieranno.

 

Epilogo

All’esito del dialogo non resta che una sola piccola riflessione a farsi: il vino è cambiato molto negli ultimi anni, e con esso tutto ciò che circonda il suo mondo, dall’approccio del consumatore alle logiche d’impresa. Lo stesso, magari anche meglio, ci si auspica per il percorso del caffè negli anni che verranno. Come si sarebbe detto un tempo, concluderemo dicendo “Ce la faranno i nostri eroi a far trionfare il bene sul male?”.