Di Mauro Illiano

Il caffè, oggi, è un mondo in decisa trasformazione. Si avverte la sensazione che “qualcosa di grande” stia avvenendo sotto gli occhi di tutti, ma proprio come accade a un genitore quando si riscopre vecchio all’improvviso o a un figlio quando si accorge di non avere più la propria guida, l’universo Caffè attraversa una fase di distacco dal proprio passato e totale proiezione verso un futuro che è tutto da scrivere.

In questo mix tra trasmigrazione culturale e reincarnazione, c’è un dato che a mio avviso non va in alcun modo trascurato onde poter salvare il caffè dal collasso: riconoscere lo straordinario lavoro degli eroi che vivono in piantagione.

Il rapporto con la terra, dopo tutto, è il primo, immancabile, tassello di tutta la trafila, il blocco su cui scolpire l’opera. E chi per piantagioni vive, oggi attraversa la fase più buia della sua esistenza. La manodopera scompare a causa della politica dei prezzi battuti a Londra o New York nelle rispettive borse merci di Robusta e Arabica, i contadini abbandonano le terre per cercare fortuna altrove, i figli spesso non ci provano neanche, ed il risultato di tutto ciò è la scomparsa di tante piccole piantagioni incapaci di sopravvivere a questa crisi economica senza fine.

Sulla scorta di queste considerazioni, durante un recente viaggio in Honduras, ho avuto modo di confrontarmi con alcuni protagonisti del mondo del Caffè, che in diverse vesti rappresentano questo prodotto ponendo grandissima attenzione al tema della responsabilità sociale ed al sostentamento della vita degli abitanti delle piantagioni.

Di seguito il dibattito che ha visto come protagonisti:

Andrej Godina (caffesperto, trainer autorizzato SCA, Presidente di Umami Area), Sandro Bonacchi (trainer SCA, titolare Oriental Caffè, socio UMAMI Area Honduras), Matteo Tagliaferri(Presidente dell’impresa sociale Anna Caffè), Laura Zanieri (Vice-Presidente dell’impresa sociale Anna Caffè), Mirko Vicino (Responsabile del personale dell’impresa sociale Anna Caffè)

Qual è la situazione dei Coffee Farmers ad oggi?

Andrej Godina

Direi disastrosa. Non avendo le loro aziende una sostenibilità economico/finanziaria è veramente difficile. Si consideri che essi gestiscono la loro piccola azienda agricola in modo del tutto amatoriale: i piccoli coltivatori persone non hanno avuto la possibilità di studiare, ed inoltre non hanno alcuna nozione di gestione manageriale. Per fare un esempio: nelle loro piccole aziende agricole non si tengono conti e non si ha un’idea a fine anno di quanto realmente gli costa il caffe. Nessuno ha nozioni scientifiche di pratiche agricole. Il piccolo coltivatore pratica un’agricoltura basata sul sentito dire e sulla “consulenza” dei venditori di fertilizzanti e pesticidi. L’unica fonte di apprendimento sono le poche cooperative che di solito hanno un tecnico agronomo in grado di dare qualche suggerimento, ma è troppo poco.

Bisogna considerare che fino a pochi anni fa nella regione dove con Umami Area Honduras abbiamo acquistato finca Rio Colorado i contadini non avevano acqua corrente ed energia elettrica in casa. L’unica cosa che rincuora è che la qualità del caffè prodotto è molto buona e le potenzialità di miglioramento sono grandi.

Come si possono aiutare i Farmers?

Andrej Godina

E’ una domanda interessante alla quale non è così scontato rispondere. Quando con i soci fondatori di Umami Area Honduras abbiamo iniziato a frequentare l’area di Las Capucas e abbiamo incontrato i farmers si credeva di poterli aiutare con dei soldi. Da una successiva analisi più approfondita decidemmo che non era la cosa migliore, in fondo per loro avere un piccolo aiuto finanziario una tantum non avrebbe risolto alcun problema strutturale. E allora, dopo un’attenta riflessione, decidemmo che sarebbe stato molto meglio offrire formazione, know how. Organizzammo, pertanto, corsi gratuiti sul caffè che seguono il Coffee Skills Program di SCA al fine di aiutarli a costruirsi con questo un futuro migliore, soprattutto per i giovani.

Oggi abbiamo alcuni piccoli esempi di successo. Uno di loro è Noè Ferdinando Portillo, che ha seguito con noi un corso di barista e brewing, ed oggi gestisce una Caffetteria Specialty in Cuguyagua con sua moglie. E’ importante aiutare i piccoli farmers anche in ambito agricolo, supportandoli a produrre alta qualità, specialty, in modo da poter vendere il frutto del loro lavoro a un prezzo maggiore.

Il dramma è che oggi il prezzo del caffè, vale a dire quanto viene pagato al farmer, è impossibile da sostenere: con quanto pagato il piccolo farmer non riesce a coprire le spese di produzione. Spesso gli agricoltori cambiano coltivo o emigrano, e ciò è molto triste non solamente per il mondo del caffè ma anche per il paese di produzione.

In questo ambito di discussione dobbiamo dare un ruolo importante anche al consumatore, poichè egli può, con acquisti responsabili, cambiare le dinamiche del mercato. Quando si compra un pacco di caffè sullo scaffale del supermercato o si sceglie un bar piuttosto di un altro è possibile indirizzarsi su prodotti socialmente responsabili. Facendo così il consumatore può indirettamente cambiare l’iniqua filiera di ridistribuzione del reddito a ritroso sulla catena del valore del caffè e assicurare al coltivatore il pagamento del giusto prezzo.

Sandro Bonacchi

A mio avviso il miglior aiuto ai farmers locali lo si può dare standoci insieme.

In tal modo ci si trasferisce informazioni a vicenda, oltre che dati umani. Inoltre, portare loro della pratiche agricole o strumentazioni tecniche, significa fornire un supporto anche dal punto di vista pratico.

Anche io sono dell’idea che un ruolo importante lo abbia il consumatore, poichè comprando caffè che abbia un percorso sostenibile per l’ambiente e per l’uomo, secondo un atteggiamento rispettoso delle persone che ci sono dietro il caffè, si compie  un atto di responsabilità sociale, e si aiuta la sopravvivenza di migliaia di persone. Pertanto il consumatore è necessario si fermi a riflettere sul fatto che ha al contempo l’onore di essere parte attiva nel rendere la filiera più sostenibile ma anche il dovere di farlo. Perché che vogliamo rendercene conto o meno, ogni atto che noi facciamo, da consumatori, crea una conseguenza, e consumare tazze di caffè non socialmente responsabili crea impoverimento delle persone che ci hanno reso possibile quell’atto di consumo.

So che da anni Umami Area si batte per la sostenibilità nel Caffè, ne parliamo?

Andrej Godina

In Italia, Umami Area è un’associazione no profit nata per divulgare la cultura del caffè di qualità, con eventi e corsi di formazione. In Honduras invece abbiamo costituito una società profit di capitali con soci internazionali, con la quale abbiamo comprato una piantagione per fare specialty, con una cultura socialmente responsabile, sia per i dipendenti che per l’ambiente ed il prodotto.

Umami Area nacque nel 2012, quando mi accorsi che i baristi non avevano un luogo dove incontrarsi per allenarsi per le gare baristi e per confrontarsi sui temi dello specialty coffee. Essi non avevano un modo per formarsi, anche sull’espresso! Occorreva dare loro uno spazio in Italia per creare una community. Iniziai così a organizzare i primi incontri a Scandicci, vicino a Firenze e poi ci costituimmo in associazione.

I viaggi in piantagione nacquero dopo i numerosi barista campus organizzati in Toscana, quando tanti corsisti iniziarono a chiedere di visitare le piantagioni di caffè. Iniziai a organizzare il primo viaggio in piantagione in Honduras, a Las Capucas. Poi organizzammo campus in Colombia, Brasile, Argentina, Vietnam, Indonesia e Costarica. Oggi posso affermare che il Coffee Campus nei Paesi di origine è un evento formativo importante per l’operatore di settore, e ciò sia per motivi educativi e professionali sia per sensibilizzare le persone ad un più equo e giusto sostentamento dei produttori di caffè.

E B-Farm, cos’è e a quali valori si ispira?

Sandro Bonacchi

B.Farm nasce per supportare i modelli di business nel caffè, ma non solo. Essa si basa sostanzialmente su due pilastri: qualità e sostenibilità. Oggi, a mio avviso, queste due qualità mancano spesso nel mondo del caffè. Il modello B.Farm è rivolto, dunque, a torrefattori, baristi, imprese o persone che abbiamo voglia di investire umanamente ed economicamente nel mondo del caffè. In un certo qual senso potremmo dire che B.Farm offre know how a 360 gradi. Attraverso la conoscenza della materia prima, delle terre di origine del caffè, delle tecniche agricole, dei prodotti e poi di tutte le pratiche aziendali e commerciali, si dà l’opportunità a chiunque di intraprendere un’attività, immergendolo fisicamente nel mondo del caffè, anche mediante veri viaggi in piantagione. Un esempio del modello B.Farm è “Anna Caffè”, ovvero un nuovo modello di business sostenibile.

Cos’è Anna Caffè e come nasce?

Matteo Tagliaferri

Anna Caffè è una impresa sociale che si sviluppa con l’obiettivo di fare responsabilità sociale sia nel Paese d’origine che nel Paese consumatore. Nasce dall’incontro della cooperativa, che già si occupava delle vite delle persone svantaggiate, con Andrej Godina, che a sua volta si occupava di responsabilità sociale da anni. Così dal Mugello abbiamo iniziato. Lavorando su commessa per aziende diamo la possibilità persone con disagi di partecipare ad un progetto. Abbiamo iniziato da ciò che sapevamo fare, ovvero lavorazioni di assemblaggio, e abbiamo portato questa esperienza nel caffè. Siamo partiti, dunque, con il confezionamento e la macinatura, e poi abbiamo pensato anche alla tostatura. Nel tempo abbiamo iniziato a capire che c’era anche l’opportunità per portare un altro messaggio importante, ovvero il caffè di qualità. Per tutti ovviamente. Abbiamo infatti iniziato a produrre caffè per moka, cialde in carta compostabile o in capsule compatibili, proprio per arrivare a tutti.

Oggi posso dire che è un’avventura bellissima, e che ci crediamo tanto. D’altronde siamo arrivati in Honduras, qui con Umami: un’esperienza sia umana che professionale, dura dal punto di vista dei ritmi, ma essenziale.

E non finisce qui, perché con La Marzocco abbiamo iniziato a impacchettare il caffè, dando l’opportunità a chi contribuisce di rivederlo poi sullo scaffale in negozio. E questo è molto bello per loro. Il caffè rende visibile il progetto sociale, perché il caffè lo si conosce tutti.

Mirko Vicino

Anna Caffè. Che dire, sono entrato nel mondo del caffè quasi per scherzo. Venivo dal mondo dei Geometri, un mondo in cui tutto è il contrario della sostenibilità, cioè cercare di sfruttare il dipendente nelle peggior maniera possibile, ottimizzando la produttività ed il risparmio, il tempo di lavoro, avendo un lavoro ovviamente pessimo, con poca onestà e dignità nei confronti della manodopera. Il geometra, in definitiva, collega il datore con la ditta e la soluzione finale, ma la sera ti chiedono sempre quanto hai marginalizzato, quanto hai risparmiato e quanto tempo hai impiegato. Questa vita dopo tanti anni mi ha molto peggiorato e dopo due anni di disoccupazione, vedendo operai utilizzati in modo drammatico, mi sono stancato di non avere una visione che andasse oltre un cantiere o un singolo lavoro. Una vita fatta di lavoro, contabilità e riscossione non si può tollerare. Con Matteo e Laura ho avuto una nuova possibilità e mi sono rimesso in gioco a 43 anni, con il mio know how a disposizione di un progetto nuovo. Mi sono avvicinato al mondo del sociale con un po’ di timore, ma osservarli e vedere cosa puoi scatenare in uomini prossimi alla pensione o con un disagio fisico o mentale, vedere la luce nei loro occhi quando macinano un caffè o sigillano un sacchetto, o solo all’odore del caffè, è una cosa che mi dà uno sprone e una vitalità che avevo perso.

In ultimo, una domanda: ma il caffè a 1 Euro, è giusto o no?

Andrej Godina

Ovviamente no! In Italia dovremmo attuare una protesta di massa, tutti i consumatori dovrebbero unirsi per un rifiuto collettivo al caffè che crea povertà nei paesi di origine, ed è così che accade oggi quando andiamo in un bar qualsiasi e ordiniamo un caffè. Questo tema così critico l’abbiamo raccontato con Sandro Bonacchi nel libro “Zero Caffè” edito da Medicea Edizioni: è una storia che dalla piantina di caffè spiega ai non addetti ai lavori cosa succede nella filiera di produzione del caffè e come essa oggi è assolutamente ingiusta nei confronti del coltivatore di caffè.

Pensiamoci: oggi è incredibile che il prezzo del caffè al bar sia sempre di 1 euro. Il medesimo prezzo per prodotti diversi, che sia arabica o robusta, una miscela tostata chiara o scura, un monorigine dell’Honduras o dell’Etiopia, un caffè difettato o meno… il prezzo è lo stesso. Questo è assurdo. Senza considerare poi che la forchetta reale dei prezzo parte da uno 0,50 euro in alcune città del centro e sud Italia, fino ad arrivare a 1,50 euro di qualche caffetteria specialty per prodotti di altissima qualità.

Ora stiamo discutendo sul prezzo del caffè al bar, 1 euro per un espresso prezzo che non consente neanche al barista di far sopravvivere la sua attività commerciale. Per questo motivo quante volte capita di vedere al bar ragazzi assunti con contratto di apprendistato e sottopagati? Questo è uno dei motivi per i quali l’attività del bar in Italia, per sopravvivere, deve vendere anche altri prodotti, mentre all’estero dove il prezzo della tazza di caffè è molto più elevato le caffetterie vendono solamente caffè e bevande correlate. Riassumendo quando ho detto finora siamo partiti da una prima ingiustizia sociale, ovvero il piccolo coltivatore di caffè oggi ci rimette dei soldi a vendere il suo prodotto al prezzo di borsa, così come il barista non è in grado di rendere la sua attività di caffetteria redditizia vendendo solamente caffè. Ecco, un doppio cortocircuito del sistema espresso italiano, una doppia ingiustizia che colpisce il primo e l’ultimo anello della catena. In Italia dobbiamo cambiare! Nei paesi anglosassoni per esempio è normale che una tazzina di buon caffè costa anche 4 o 5 euro, il che permette di dare margini equi di guadagno a tutti, compreso il barista.

Sandro Bonacchi

Bere caffè è un atto agricolo ed è bene che si sappia, il caffè nasce nella terra. Il torrefattore non è assimilabile al produttore di vino. Il torrefattore non ha nulla in mano, ha il brand, non ha la terra, non cura il caffè fino a quando gli giunge il verde da trasformare, e trasforma solo parzialmente per giunta. Occorre arrivare a un brand di prodotto, alla tracciabilità ed alla valorizzazione della filiera agricola, non della torrefazione. Questo determinerebbe uno spostamento degli equilibri di forza tra le parti, che unitamente ad un prezzo più equo per il caffè, genererebbe un effetto salvifico per tutti gli addetti al settore, soprattutto quelli più disagiati

Laura Zanieri

Il problema, a mio avviso, è che non si dà valore al caffè. Nel momento in cui si dà un valore diverso al caffè, non ne prendi più 8 al giorno solo per gestualità, per vizio, per abitudine. L’errore sta lì, e la difficoltà è comunicativa: bisogna trasmettere il valore del caffè. Ad esempio, la gente è disposta a pagare cifre assurde alcuni prodotti commerciali brandizzati, e poi se aumenti il caffè di 20 centesimi tutti si lamentano. Questo è un meccanismo perverso. Comprare uno specialty a un dato costo sembra assurdo e poi comprare un pacco di biscotti di marca allo stesso prezzo non genera alcuna riflessione. E’ lì che bisogna intervenire.

Mirko Vicino

Il caffè al volo da 1 euro, senza sapere se è buono o meno, non va bene.  Io spero di poter contribuire alla rivoluzione del prezzo quanto del valore.

Epilogo

Non so se queste parole saranno abbastanza per poter sollevare un interrogativo nella mente di chi tutti i giorni è posto dinanzi alla sua beata tazzina di caffè, ma, usando un intercalare Pirandelliano, direi che la realtà, oggi, “Così è (se vi pare)”.

Per chi volesse approfondire

http://www.edizionimediceafirenze.it/prodotto/zerocaffe/