Di Maria Grazia Narciso

Se venite qui a Cantina La Barbera li sentirete spesso raccontare questa storia.

Antonello Pizzo, ingegnere e Alfonso Maria Avitabile, avvocato, patron del locale non nascono ristoratori ma nel 2012 decidono di sposare il progetto avviato tre anni prima dal loro amico chef, Alberto Turco,  un ristorante all’interno dell’omonimo palazzetto ottocentesco in via Morghen 36/a al Vomero.  Alberto ora non c’è più perché la vita aveva un disegno diverso dal suo ma ha lasciato in eredità ai due amici la sua creatura.

Da quel momento alle due sale superiori si sono aggiunte la cantina al piano inferiore che gravita attorno ad un invitante tavolone  sostenuto da botti, ulteriori ampie sale comunicanti che rendono il ristorante il luogo ideale per ricevimenti e grandi occasioni, e un piccolo terrazzo con giardino pensile, da godere nelle belle giornate primaverili. Ma di Alberto sentirete parlare sempre.

Da allora la ricerca di un centro di gravità permanente è stata una costante. Dapprima identificato nella ampia e profonda offerta di carne alla brace, disponibile nei tagli più pregiati, Cantina La Barbera tra l’altro è membro del Club della manzetta prussiana di Jolanda de Colò, poi il focus si è spostato sulla cucina tradizionale napoletana con i classici dei classici.

Il comune denominatore è rimasto sempre  e comunque la cultura delle materie prime, come dimostra la presenza in carta della selezione dei formaggi dell’affineur Elio Testa e la preziosa carta dei vini con 200 etichette nazionali curata da Steffen Wagner, sommelier e degustatore AIS, organizzatore di un interessante calendario di cene degustazione con i produttori. Ma c’è tanto altro.

Il 2020 si apre con la decisione di cambiare la regia ai fornelli e il conseguente arrivo di due giovani chef, Igor Margotti e Fabiana Ferrucci, che si assumono l’onere di dettare la nuova rotta. Oggi è a cura della giornalista enogastronomica Laura Gambacorta la presentazione alla stampa del nuovo menù che si svincola dalla matrice della tradizione alla quale eravamo abituati, per aderire ad una filosofia più innovativa e sperimentale. Alcuni dei must del locale tuttavia sono confermati, restano in carta infatti gli Involtini siciliani e gli Ziti alla genovese.

Nei piatti dei due chef si dà spazio a tagli di carne meno nobili, ma sapientemente trattati, con cui vengono realizzati la Tartare di diaframma di manzo con crackers di capperi, polvere di pomodoro e maionese di limone e il Quinto quarto, cialdina di pane all’origano, cremoso al pecorino.

Per noi oggi Steffen ha scelto sui formaggi di Elio Testa “Frenesia”, Spumante di Falanghina del Sannio DOC uno charmat lungo (12 mesi) della cantina Rossovermiglio,  sugli antipasti a base di carne il Dolcetto d’Alba DOC 2018 da vigna vecchia di Ciabot Berton, sui primi piatti con gli immancabili Ziti alla genovese e il Riso acquerello di blu di bufala e tartare di black angus l’Aglianico Doc Irpinia 2017 di Sertura e, dulcis in fundo, il Passito di Falanghina del Sannio Doc “Centogiorni “ di Rossovermiglio con il dessert.

Prima di andare via Elio Testa mi racconta entusiasta delle idee che ha in cantiere con i nuovi abbinamenti e un pensiero si compone nella mia mente.

Non so quanto questo possa avere a che fare con i formaggi, e perché no?,  ma rifletto sul fatto che la vita è fatta di incontri.

Foto di Gabriella Imparato

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