Di Maria Grazia Narciso

Dice il Buddha, “Non puoi viaggiare su una strada senza essere tu stesso la strada”.

Ai miei occhi appare questo lo spirito con il quale Antonio Santarelli, Owner della cantina Casale del Giglio ha sciolto il nodo identitario di un areale, quello dell’Agro Pontino, dove la strada verso il vino di qualità non è spianata da una particolare vocazione o da una facile riconoscibilità del prodotto finale.

E’ una splendida giornata di sole quando arrivo in azienda un po’ prima degli altri ospiti percorrendo un viale dritto e prospettico che sembra, nella sua fierezza, raccontare proprio di un percorso disegnato, cercato, voluto. Trovo ad accogliermi un team cordiale e affiatato e l’organizzazione perfetta, curata da Paola Sangiorgi e dalla giornalista Laura Gambacorta, Ufficio stampa della cantina,  racconta già di stile, di dedizione, di cultura. Sono subito a mio agio anche se siamo a prima mattina, in anticipo sul programma. Colgo a pelle il senso di appartenenza dello staff, a partire dalla chiacchierata con il cordiale e simpatico driver dall’accento forestiero che viene a prendermi e l’aria che si respira è davvero bella.

Sono ad Aprilia, dove con suoi 180 ha di vigneti la cantina Casale del Giglio ha il suo quartier generale. Gli altri uffici amministrativi e commerciali sono nella capitale. Il progetto imprenditoriale ora alla seconda generazione, è condotto da Antonio Santarelli, padrone di casa elegante, raffinato, affabile. Lo vedrò spesso fare un passo indietro per lasciare la scena ai suoi collaboratori, primo tra tutti l’enologo Paolo Tiefenthaler, fautore e custode del progetto identitario della famiglia Santarelli, volto al posizionamento del vino e della cantina nel quadrante prestigioso del mercato enologico italiano e non solo.

In assenza di una tradizione enologica a sostegno la strategia adottata dai due è stata quella della sperimentazione e della ricerca, con l’obiettivo ultimo di ottenere la massima espressione di qualità con quanto offerto dal territorio. La ricerca, metodica e puntuale, ha avuto inizio nel 1985 quando sono state messe a dimora 57 varietà, inclusi vitigni internazionali, con l’intento di selezionare quelle in grado di eccellere nei rispettivi terroir. L’ambiente pedoclimatico con il quale confrontarsi infatti non è uniforme. Il clima mediterraneo, caratterizzato dalla macchia circostante si sposa con il suolo variegato, restituito al suo stato attuale dalla bonifica degli anni 30’.  Tre le configurazioni: una zona alluvionale dai terreni vulcanici nei pressi dei Castelli Romani e dei Monti Lepini, un’area caratterizzata da terra scura, ricca di minerali e argilla e, man mano che ci si avvicina alla costa, arenaria e terreni sabbiosi.  Questi ultimi si sono rivelati ideali per il Bellone, vitigno autoctono a bacca bianca già noto nell’antichità ma oggi sconosciuto ai più. Il vento che soffia nell’Agro Pontino tiene al riparo gli acini dalla Botrytis, facile a svilupparsi a causa delle caratteristiche del grappolo.

“Radix”, Bellone Bianco Lazio Igp è l’ interpretazione più suggestiva di questo vitigno. Paolo Tiefenthaler lo ha studiato a fondo e poi interpretato fino a farne un vino dal corredo aromatico ricco e variegato, nel quale i profumi di frutti estivi e di paesi caldi sollecitano l’olfatto assieme ai fiori gialli e la macchia mediterranea mossi da refoli salmastri. Qui il “legno ha conferito materia” commenta Tommaso Luongo, delegato Ais di Napoli e l’affinamento in anfora ha contribuito all’equilibrio finale. Il palato non delude le aspettative, restituendo ai sensi una corrispondenza speculare. Freschezza e sapidità fanno da controcanto alla struttura rendendo la beva voluttuosa.

Vi dicevo che qui si respira bellezza e cultura? Non solo nell’aria ma anche nei fatti e manufatti.

Nei terreni di Casale del Giglio, dal 1990 l’archeologa Marijke Gnade dell’Università di Amsterdam conduce gli scavi sulle tracce dei Volsci, popolazione osco-umbra di lingua indoeuropea, fondatrice di Suessa Pometia. Sotto i vigneti sono tornati alla luce i resti della Via Sacra, di tombe e di un calice, che testimonia la cultura enoica del tempo.

I Volsci fondarono anche Satricum, dove giacciono i resti del tempio dedicato alla Mater Matuta alla quale è dedicato uno dei top di gamma della cantina, “Mater Matuta” appunto, blend di Syrah e Petit Verdot. Nei nostri calici il millesimo 2010. Cuore di rubino con riflessi granato, una esplosione di frutti scuri e maturi si intrecciano al naso con fiori secchi, erbe aromatiche e spezie. Il sorso lungo e persistente dispiega un tannino elegante e mai invadente, supportato da freschezza e sapidità.

La gamma di Casale del Giglio annovera 23 prodotti tra vini, grappe e olii. Non manca uno spumante a base Pecorino e una vendemmia tardiva, “Aphrodisium” a base di Petit Manseng, Viognier, Greco e Fiano con il quale concludiamo questa splendida giornata.

Ripartiamo. Lungo il tragitto verso Napoli la giornata mi scorre davanti in slow motion, ma nulla distoglie il mio pensiero da quel viale dritto e prospettico che rafforza una intima convinzione: se la strada non c’è sii la strada.

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