Di Peppe Frulio

Nel 1996 a Milano, sulla riva del fiume Lambro, nasceva il Birrificio Lambrate. All’inizio poteva contare su tre soci, con una produzione di sole due birre e un piccolissimo impianto da 150 litri; oggi, dopo quasi un quarto di secolo, si può dire che, dopo tanti ettolitri di birra passati sotto i ponti, i soci sono diventati cinque, con un ampio staff e una produzione arrivata fino a 2o hl. Una realtà brassicola che si è fatta conoscere anche a molti km di distanza, con una efficiente suddivisione dei compiti: dall’amministrazione, alla cucina del pub, alla produzione della birra.

Nella gamma produttiva proposta è possibile individuare sia una linea di birre che loro amano definire classiche, quindi facilmente reperibili in qualsiasi periodo dell’anno, sia una speciale, legata a eventi o a determinati periodi dell’anno,

Alcune delle birre classiche di Lambrate vengono orgogliosamente identificate con termini della tradizione popolare meneghina, ispirandosi a modi di dire dell’idioma del capoluogo lombardo.

Nel 2020, per quanto riguarda le birre speciali, la novità è stata la coppia formata da “Hard” e “Core”, due IPA con una gradazione di 6.7%,  caratterizzate da una veste grafica che porta in primo piano il nome della birra a caratteri cubitali e in alto la rappresentazione stilizzata del volto dei soci.

Queste due birre trovano ispirazione da un viaggio del 2019 negli States, più precisamente nella West Coast che storicamente è sede della Yakima Valley, fulcro assoluto della coltivazione e della produzione delle maggiori qualità di luppolo del pianeta.

Nello specifico la Hard, protagonista di questa scheda, è in stile India Pale Ale. Versata in una pinta americana, si può apprezzarne l’abbondante e luminosa schiuma bianca, dalla grana mediamente fine, e una significativa persistenza. Il colore è giallo oro, completamente opalescente; naso di pronunciata intensità, tale da catturare l’attenzione già dal bicchiere appoggiato sul tavolo. L’insieme olfattivo mostra una buona complessità, abbracciando nell’immediato, prima i profumi agrumati di pompelmo e arancia, e successivamente, le nuance tropicaleggianti di mango e ananas.

In bocca l’ingresso è delicato e dolce, lasciando spazio nello sviluppo gustativo a un amaro tanto percettibile quanto equilibrato, perfettamente integrato nella struttura. Nel finale si esaltano i coerenti ritorni fruttati di pesca gialla e lime.

La persistenza dell’amaro quasi nasconde un corpo che è solo apparentemente esile, alleggerito da una buona frizzantezza per una beva gradevole da consumare in abbinamento al cibo o, in alternativa, in compagnia dei propri pensieri.

Se guardiamo la bilancia del luppolo il processo produttivo fa pendere verso il basso il piatto dell’aroma, grazie ad una luppolatura a freddo dry-hopping. Tra le materie prime, oltre all’utilizzo dei cereali maltati, sono presenti anche quelli non maltati come frumento e avena, che donano una bella rotondità alla fase gustativa.

Tornando all’abbinamento la scelta cade su un piatto della tradizione napoletana: la pizza di scarole, una pietanza particolarmente strutturata che al suo interno trova la tendenza dolce dell’impasto lievitato, l’untuosità della scarola saltata in padella, la tendenza amarognola delle olive nere, la sapidità dei capperi, la grassezza della salsiccia di maiale, l’aromaticità della provola affumicata e la piccantezza data dal peperoncino.

Una bella sfida a tavola, senza esclusioni di colpi, con l’amarezza della birra che ha centrato un triplice bersaglio: equilibrare la tendenza dolce degli amidi dell’impasto; ripulire il palato dall’untuosità e dalla grassezza apportata dal matrimonio tra le scarole soffritte e la carne di maiale; e infine enfatizzare sia il sapore amaricante delle olive nere, sia la caustica piccantezza del peperoncino.

Sul piano dell’aromaticità, lo scontro è salito di livello: avvincente e coinvolgente il gioco delle contrapposizioni e delle concordanze tra le sensazioni retrolfattive innescate dall’affumicato della provola di Agerola e quelle decisamente agrumate dei luppoli utilizzati, con queste ultime che hanno portato a casa il risultato, vincendo la competizione sensoriale.

Questa esperienza di abbinamento ha coinvolto tutto l’italico stivale, da Nord a Sud, in un cortocircuito geografico che si è dimostrato particolarmente piacevole e spettacolare.

Viva l’Italia! ;-)